“L’AMARA”

“L’Amara”, ritorna con un mini album dedicato ancora una volta agli ultimi.

La popolazione carceraria costituisce una subcultura fatta di religione, superstizione, violenza e tradizione. Un mondo inconfessabile, fatto di crimini odiosi ma anche di uomini perduti che non hanno altro che rondini sul petto per volare via dalle sbarre di questa vita. Il dilemma di esistenze parallele alla normalità/banalità del quotidiano apre le porte alla vera domanda su quale sia la vera prigione, fuori o dentro quelle mura.Una visione sui luoghi della Devozione Popolare e Criminale Italiana, sulle Carceri e sulla Redenzione impossibile: un atto di devozione alla Nostra Signora della Galere.”

L’Amara – Nostra Signora delle Galere – featuring:

Jonny Bergman (Nomotion, Calle della Morte Music)

Adriano Vincenti (Macelleria Mobile di Mezzanotte [MMM]

Senketsu No Night Club, Detour Doom Ensemble)

Giovanni Leo Leonardi ( @Siegfried, Carnera, @Mhole, Senketsou No Light Club)

Steve Corrida (Black Corrida)

Daniele Iannacone (Sun’s Spectrum)

and many more…

Cover and Image by Adriano Vincenti, Artwork by Gianni Caldararo.

Mixed and Mastered by Giovanni Leo Leonardi.

L’edizione limitata include il cd digipack in un box con alcuni degli oggetti quotidiani della vita carceraria: un rosario, una saponetta, un lama per rasoio.

Preordine disponibili ora nel sito della label SPQR Labelitta

“MAGNA CARTA EMILIA 2.0”

 

emiliaandfriends

 

 

« Quando sarò vecchia mi vestirò di viola
con un cappello rosso che non si intona e non mi dona.
E spenderò la mia pensione in brandy e guanti estivi
E in sandali di raso, e poi dirò che non abbiamo soldi per il burro.
Mi siederò sul marciapiede quando sarò stanca
E arrafferò assaggi di cibo nei negozi, suonerò tutti i campanelli
Farò scorrere il mio bastone sulle ringhiere
E mi rifarò della sobrietà della mia giovinezza.
Uscirò in pantofole sotto la pioggia
E raccoglierò fiori nei giardini degli altri
E imparerò a sputare.
Quando sei vecchia puoi indossare assurde camicie e ingrassare
E mangiare tre libbre di salsicce in un colpo solo
O solo pane e sottaceti per una settimana,
E accumulare penne e matite e tappi di bottiglia e cianfrusaglie nelle scatole.
Ma ora dobbiamo indossare vestiti che ci tengano asciutti,
E pagare l’affitto e non dire parolacce per strada
E dare il buon esempio ai bambini.
Dobbiamo invitare amici a cena e leggere il giornale.
Ma forse dovrei cominciare a fare un po’ di pratica adesso?
Così chi mi conosce non rimarrà troppo scioccato e sorpreso
Quando improvvisamente sarò vecchia, e comincerò a vestirmi di viola»
(Jenny Joseph)

… e nessuno mi dirà, mai, come devo morire…

 

 

“GLI OCCHI DI GAZA”

 

“GLI OCCHI DI GAZA”

Di Emilia di Roccabruna

shifagilbert gaza

 

“Chi salva una vita, salva il mondo intero”


Fuori dalla porta di casa nostra, oltre i nostri giardini curati, dietro alle facciate pulite e opulente della nostra vita esistono realtà scomode e che spesso, egoisticamente, non vogliamo vedere. Ci sono storie che, distrattamente, conosciamo tramite brevi comunicati stampa o da drammatici reportage provenienti da dimenticate zone di guerra, sparse per il globo. Nei giorni scorsi “la bomba Gaza” è scoppiata un’altra volta, trascinando con sé vittime incolpevoli e seminando devastazione e morte.

Gaza.
La striscia di Gaza. Ma che cos’è? Con un linguaggio geograficamente corretto si indica una regione costiera palestinese confinante con Israele ed Egitto e sotto la tutela della autorità Palestinese. Di fatto è una trappola mortale di forma rettangolare, di circa quaranta chilometri di lunghezza per una decina di chilometri di larghezza con un totale di circa quattrocento km quadrati, trasformata in luogo di massacro, dove, in queste terribili ore d’agonia il popolo palestinese sta soccombendo alla forza bruta di Israele. A seguito della dichiarazione di guerra da parte di Israele e dopo l’invasione dei territori palestinesi, la situazione si sta aggravando di minuto in minuto e le notizie che ci arrivano, da quei luoghi martoriati dalla guerra, dovrebbero far capire che non ci sarà tregua che tenga, tantomeno punti di ritorno. Quasi fosse stato aperto il vaso di Pandora. A Gaza, però, i morti e la rovina sono reali e documentati. Voglio ricordare che nella Striscia stiamo assistendo ad un vero proprio sterminio. Le bombe israeliane non fanno distinzione tra milizie di Hamas e bambini inermi, non fanno distinzione tra pseudo-caserme, rifugi di esponenti di Hamas e scuole, moschee ed ospedali. Le bombe sono bombe.
Punto.

Modestamente non ho parole per descrivere l’arroganza omicida dei leader israeliani. La finta tregua domenicale è stata interrotta dal ruggito sordo di una pioggia di bombe e affogata nel sangue innocente di bambini e donne inermi, ha avuto il sapore amaro del ridicolo. A propria difesa, gli esponenti del governo israeliano hanno accusato Hamas di farsi scudo di donne e bambini. La scusa grottesca non regge e da una Stato che si definisce civile e democratico ci si dovrebbe aspettare che di fronte a donne e bambini si facciano un po’ di scrupoli nello sparare. Invece, i fatti dimostrano che Israele è uno stato invasore, dittatore e genocida, guidato da menti psicopatiche pronte a tutto per saziare la loro fame di potere.

Ma c’è un medico, operante in piena zone di guerra. Si tratta del dottor Mads Gilbert, norvegese e membro dell’organizzazione umanitaria Norwac. Il dottor Mads Gilbert è il direttore del Pronto Soccorso di Shifa, nella Striscia di Gaza attualmente sotto assedio.
Racconta: “Gran parte dei feriti che stiamo trattando sono bambini e hanno subito gravi amputazioni; tutto quello che sta avvenendo a Gaza va contro ogni regola del diritto internazionale. Sento parlare di guerra contro Hamas, ma i miei occhi vedono solo bombardamenti sistematici contro la popolazione civile anche con armi vietate dalla comunità internazionale”.
Una tragedia umanitaria, sottolinea Gilbert, che colpisce indiscriminatamente tutti senza distinzione di sesso, di età, di occupazione. Il Dottor Gilbert, in queste ore ha lanciato un messaggio alla rete. E’ un accorato appello a tutta la comunità internazionale. Un appello che io ho raccolto e di cui mi faccio promotrice. Per onore di cronaca citerò la lettera originale che mi arriva, scritta con la disperazione ci chi non ha armi per affrontare una catastrofe così grande, da quei luoghi infausti. E’ una lettera cruda e a tratti sgrammaticata, e che non mi sono sentita di stravolgere con una traduzione di tipo correttivo ed interpretativo. Per quello ci sono i traduttori simultanei. Il dolore non si interpreta nè si traduce. Si sente sulla pelle e dentro alle ossa. Poche parole di dolore facilmente traducibili. Nulla deve essere perso. Diverremo gli “occhi di Gaza” e la voce di chi lotta in trincea per salvare vite umane.

20Luglio2014 H.11:14am

“Dearest friends,
The last night was extreme. The “ground invasion” of Gaza resulted in scores and carloads with maimed, torn apart, bleeding, shivering, dying – all sorts of injured Palestinians, all ages, all civilians, all innocent. The heroes in the ambulances and in all of Gaza’s hospitals are working 12-24 hour shifts, grey from fatigue and inhuman workloads (without payment all in Shifa for the last 4 months), they care, triage, try to understand the incomprehensible chaos of bodies, sizes, limbs, walking, not walking, breathing, not breathing, bleeding, not bleeding humans. HUMANS! Now, once more treated like animals by “the most moral army in the world” (sic!).
My respect for the wounded is endless, in their contained determination in the midst of pain, agony and shock; my admiration for the staff and volunteers is endless, my closeness to the Palestinian “sumud” gives me strength, although in glimpses I just want to scream, hold someone tight, cry, smell the skin and hair of the warm child, covered in blood, protect ourselves in an endless embrace – but we cannot afford that, nor can they. Ashy grey faces – Oh NO! Not one more load of tens of maimed and bleeding, we still have lakes of blood on the floor in the ER, piles of dripping, blood-soaked bandages to clear out – oh – the cleaners, everywhere, swiftly shovelling the blood and discarded tissues, hair, clothes, cannulas – the leftovers from death – all taken away … to be prepared again, to be repeated all over. More then 100 cases came to Shifa in the last 24 hrs. Enough for a large well trained hospital with everything, but here – almost nothing: no electricity, water, disposables, drugs, OR-tables, instruments, monitors – all rusted and as if taken from museums of yesterday’s hospitals. But they do not complain, these heroes. They get on with it, like warriors, head on, enormously resolute. And as I write these words to you, alone, on a bed, my tears flow, the warm but useless tears of pain and grief, of anger and fear. This is not happening! An then, just now, the orchestra of the Israeli war-machine starts its gruesome symphony again, just now: salvos of artillery from the navy boats just down on the shores, the roaring F16, the sickening drones (Arabic ‘Zennanis’, the hummers), and the cluttering Apaches. So much made in and paid by the US.

Mr. Obama – do you have a heart?

I invite you – spend one night – just one night – with us in Shifa. Disguised as a cleaner, maybe. I am convinced, 100%, it would change history. Nobody with a heart AND power could ever walk away from a night in Shifa without being determined to end the slaughter of the Palestinian people. But the heartless and merciless have done their calculations and planned another “dahyia” onslaught on Gaza. The rivers of blood will keep running the coming night. I can hear they have tuned their instruments of death. Please. Do what you can. This, THIS cannot continue.

Mads Gilbert MD PhD
Professor and Clinical Head
Clinic of Emergency Medicine
University Hospital of North Norway”

 

“TACI. SULLE SOGLIE DEL BOSCO…”

“TACI. SULLE SOGLIE DEL BOSCO…”

Di Emilia di Roccabruna

VateneltronoArengo

Gabriele D’Annunzio sul Trono nell’Arengo (Vittoriale)

  “Memento Audere Semper”

Questa è una deD'Annunzio_4lle tante locuzioni che coniò il grande poeta Gabriele D’annunzio. Chi era? Difficile parlarne in poche righe. Troppo complesso il personaggio, il poeta, l’eroe, l’oratore, il libertino, l’esaltatore di se stesso e l’imponente esteta che segnò un’epoca. D’annunzio non fu soltanto un poeta ma un grande uomo, dalle sfumature poliedriche e voluttuose, noto per la sua tenace     capacità di convincere e coinvolgere. Lui, prima con la campagna di Libia, dopo con la grande guerra, riesce a sconfiggere pure l’oculata gestione del potere che portava avanti il governo Giolitti e Mussolini stesso ne avrà timore e soggezione. Il Vate o Il Poeta, era influenzato da Nietzsche tanto da creare il suo stesso personaggio forgiandolo sulla teoria del superuomo, che il filosofo gli proponeva. I suoi tanti amori sono un miscuglio di poesia, lussuria, depressione, passione sfrenata, esaltazione, ansia, malinconia e solitudine.  La lettura, la degustazione dei capolavori dannunziani inietta, nel cervello e nelle vene, passioni troppo intense perché tutti le possano provare. Solo pochi, gli eletti cerebralmente e non socialmente, riescono ad assaporare appieno l’orgia mistica e sensuale che i versi “dell’Immaginifico” invitano a vivere. Solo chi vive intensamente può gustare fino in fondo la poesia di un uomo che ha amato la vita di un amore spietato e sanguigno.  Per amarlo bisogna avere quell’ardore che lui provava, quel fuoco dentro che brucia anche in noi quando sentiamo forti passioni, quella voglia spinta all’estremo, cosciente di un mondo che stava cambiando e di cui voleva far parte fino in fondo. Per comprendere D’Annunzio, sentirlo nella nostra anima e non solo come autore da leggere, bisogna sforzarsi, avere il coraggio di guardare in noi stessi ed essere gli esteti della propria vita, con il coraggio di andare oltre la quotidianità.

“Ricordati di Osare Sempre”!

Gabriele D’annunzio osò fino in fondo, oltre le migliaia di pagine di fine letteratura e mirabili imprese militari, tra cui la liberazione di Fiume (VEDI QUI) e la Beffa di Buccari (VEDI QUI), ci ha lasciato anche la sua ultima dimora. Il Vittoriale, sito a Gardone (BS). La composizione del complesso architettonico del Vittoriale degli Italiani è comunemente definita “Fabbrica del Vittoriale”, o “Santa Fabbrica”. La sua storia inizia il 21 ottobre 1921 con l’acquisto da parte di D’Annunzio della proprietà di Henrich Thode, precedentemente confiscata. Alcune opere furono compiute solo dopo la morte del Poeta, poiché nominate nell’atto di donazione fra quelle da finire necessariamente.   Nel 1921, due anni dopo la fine della prima guerra mondiale, l’Italia è tuttavia umiliata sia politicamente che socialmente. I reduci sono tra i più scontenti anche perché dovettero affrontare numerosi problemi per il loro reinserimento nella società. L’impresa fiumana è terminata e il suo protagonista, privato di ogni avere e di ogni sogno, aspira alla solitudine, all’isolamento e al silenzio. Il 28 gennaio si reca per la prima volta a Gardone, sotto consiglio del suo segretario perché conveniente. Dopo una breve visita, D’Annunzio ne intuisce il potenziale e quanto vi potrà fare. Dapprima affitta la villa, ma il 31 ottobre dello stesso anno, la acquista.

DA11[…] “Ho trovato qui sul Garda una vecchia villa appartenuta al defunto dottor Thode. È piena di bei libri… Il giardino è dolce, con le sue pergole e le sue terrazze in declivio. E la luce calda mi fa sospirare verso quella di Roma. Rimarrò qui qualche mese, per licenziare finalmente il “Notturno”[…] scrive d’Annunzio alla moglie Maria in una lettera del febbraio del 1921, cioè pochi giorni dopo il suo arrivo a Gardone; nelle intenzioni del poeta il soggiorno gardesano doveva durare dunque solo poche settimane per completare la stesura del Notturno, mentre oggi si sa che quella gardonese sarebbe diventata la sua ultima e definitiva dimora.

Il Vittoriale degli Italiani è la cittadella monumentale che D’Annunzio allestisce dal 1921 al 1938, trasferendosi a Gardone Riviera, sulla riva bresciana del lago di Garda. Non soltanto una casa, ma un insieme di edifici, vie, piazze, teatri, giardini, parchi, corsi d’acqua, eretti a memoria della propria vita d’eccezione e della Guerra vittoriosa, con i cimeli delle imprese più audaci: dall’aeroplano del volo su Vienna, al Mas della Beffa di Buccari, alla prora della nave Puglia e sullo sfondo azzurro del lago, si profila l’anfiteatro, scena ancor oggi di eventi teatrali e musicali. Nella casa, poi, capolavori artistici, oggetti d’uso, bibelots, arredi eccentrici e silenzio ovattato catturano il visitatore in un’atmosfera fantastica e lo inducono al raccoglimento e alla meditazione. Ricca di fascino e di storia la cittadella di D’Annunzio ci immette nella letteratura, nell’arte e nelle vicende dei primi cinquant’anni del XX secolo. È il poeta a esprimersi nel Vittoriale come nella sua opera più compiuta. La Cittadella, già Villa Cargnacco, fu dichiarata monumento nazionale con R.D. 28 giugno 1925 n. 1050.

La prima aspirazione fu di trasformare e abbellire la casa per assicurarsi agi e comodità; la seconda fu di ampliare al più presto il parco con altri acquisti di terreni, per garantirsi isolamento e tranquillità. Tra il 1922 e il 1935 D’Annunzio acquistò una superficie complessiva di nove ettari, che fece recintare da ogni lato. Gli balenò, di seguito, il proposito di realizzare gli edifici che ora costituiscono il Vittoriale ma, per problemi economici, la realizzazione ne fu rallentata. In questo progetto D’Annunzio impiegò grandi somme di denaro, in parte donate dal regime, come dichiarata e affermata riconoscenza, o più probabilmente per timore. Nella realizzazione della sua opera d’arte, D’Annunzio si avvalse dell’opera di Moroni, un giovane trentino conosciuto come soldato valoroso, che aveva ottenuto nel 1919 la qualifica di architetto. Dopo una spartizione degli incarichi l’architetto Moroni, mosso da grande devozione, assolverà con scrupolo tutti i compiti impartiti dal “Comandante”. Nel 1923 già dirigeva gli uffici della Santa Fabbrica. “Il Vate” vuole rendere la propria casa un monumento nazionale. Nel dicembre dello stesso anno il Vittoriale, ancora in costruzione, viene donato allo stato con una precisa contropartita: […] dalla pubblica sanzione del suo ruolo di Padre della Patria conseguiranno i mezzi per la Fabbrica monumentale. La donazione sarà tanto più generosa quanto più consistenti saranno le risorse che gli saranno concesse… Non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi[…]

DA12Con queste parole d’Annunzio ci invita a “leggere” la sua casa; soltanto così potremo comprenderne la bellezza e apprezzarne l’unicità. Entrandovi assecondiamo la volontà di D’Annunzio stesso, che la donò agli Italiani come un grande patrimonio di se stesso. Egli fece della sua vita quell’opera d’arte che, qui, trova piena realizzazione. Lusso, stravaganza e magnificenza, simboli della vita “irripetibile” di D’Annunzio, non sembrano collimare con l’aspetto campagnolo dell’abitazione originaria. Non a caso l’amico Ojetti, vedendola, la definì più adatta a un parroco che al Vate d’Italia: da qui il nome di Prioria. Il Poeta vi abitò durante quello che egli stesso definì un esilio durato dal 14 febbraio 1921 fino alla morte, il 1° marzo 1938. La casa è perfettamente conservata e oggi è possibile ammirarla proprio com’era alla morte del poeta che a essa dedicò cure assidue, arricchendola via via nel corso degli anni come un vero e proprio museo personale. Nel 1930 D’annunzio decise di donare il Vittoriale all’Italia e agli Italiani tutti.

L’Atto di donazione recita, ribadito e perfezionato nel 1930: […]Non soltanto ogni casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi, come uno dei miei drammi, come un qualunque mio atto politico o militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Perciò m’ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane – e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro – non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito. Già vano celebratore di palagi insigni e di ville sontuose, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risanguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame rude è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave “Puglia” è posta in onore e in luce sul poggio, come nell’oratorio il brandello insanguinato del compagno eroico ucciso. E qui non a impolverarsi ma a vivere sono collocati i miei libri di studio, in così gran numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di solitario studioso. Tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in quest’offerta all’Italia amata[…] ”.

Nel 1938 il poeta fu sepolto nel tempietto dell’Esedra e traslato nel 1963, centenario della nascita, nell’arca centrale del Mausoleo. Nell’edificio detto Schifamondo è ospitato il Museo della Guerra che ne raccoglie i cimeli delle imprese eroiche. Il Vittoriale, a tratti tetro e malinconico, così espressivo nei gusti del suo inquilino, inducono a riflessioni nostalgiche e cupe sulla vera personalità del poeta. D’Annunzio, certamente, è riuscito a far parlare di sé sia durante la sua turbolenta vita, sia dopo la sua silenziosa morte.

logobLa Fondazione (QUI), riconosciuta con R.D. 17.07.1937 n. 1447 convertito in legge il 27 dicembre 1937, è stata istituita con lo scopo di “conservare alla memoria degli italiani in forme viventi di attività materiale e spirituali, nella sua consistenza attuale e nei suoi sviluppi futuri, il Vittoriale degli italiani”, e di “promuovere e diffondere in Italia e all’estero la più profonda conoscenza dell’opera di Gabriele D’Annunzio”. Questo è scritto nello statuto vigente approvato con Dpr 22.01.1965 n. 841, essendo presidente Giuseppe Longo. La Fondazione, quindi, cura l’edificio e i giardini del Vittoriale, il patrimonio di arredi e cimeli, l’archivio generale (alcune decine di migliaia di carte e lettere di corrispondenti di D’Annunzio), l’archivio personale del poeta (30.000 numeri d’inventario riguardanti manoscritti, 15.000 riguardanti la corrispondenza), l’archivio fiumano, la biblioteca personale di D’Annunzio (30.000 volumi, aperta al pubblico), la biblioteca dannunziana (6.000 volumi, aperta al pubblico). Oltre a questo, la Fondazione cura la diffusione della conoscenza dell’opera del poeta organizzando convegni, manifestazioni teatrali e musicali estive. Inoltre cura la pubblicazione dei «Quaderni del Vittoriale». Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone.

La mia visita al Vittoriale, accompagnata da un affascinante e colto giovinotto, oltre a farmi sentire a casa,  mi ha ricondotta tra le ali di quella magia che si chiama Gabriele D’Annunzio. Il tempo si è fermato e s’è acceso l’animo.

E taccio, sulle soglie del bosco …

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Panoramica

IL VITTORIALE

RARO DOCUMENTO DI D’ANNUNZIO AL VITTORIALE

“THE ARTIST IS PRESENT”

” THE ARTIST IS PRESENT”

Di Emilia di Roccabruna

e5

Marina Abramovic

“Gli occhi sono lo specchio dell’Anima”.
“L’anima è una porta aperta sull’Eterno”.

Se uno sconosciuto si sedesse di fronte a voi e vi fissasse dritto negli occhi, che tipo di suggestione provereste?
O meglio, quanto tempo ci mettereste prima di esternare le varie emozioni che formano il nostro “intimo”?
Riusciremo a metterci completamente a nudo davanti a una sconosciuta che si nutre, vampirescamente, delle nostre emozioni?

E2Questo è il concetto di “The Artist is Present di Marina Abramovic, documentario che HBO ha realizzato su di lei, presentato al Sundance Film Festival nel 2010 e trasmesso nella nostra televisione nazionale nei giorni scorsi. Nella performance, tenutasi nel 2010 al MOMA di New York, l’attrice serba, sedeva semplicemente su una sedia, e ciascun visitatore poteva andare a sedersi di fronte a lei per tutto il tempo che avesse voluto, mentre l’artista restava impassibile e in assoluto silenzio. Un’idea di semplicità e intensità uniche, che ha scatenato nei partecipanti le reazioni più inaspettate, dall’attrazione alla commozione. Dalle lacrime ai sorrisi, dai gesti inconsulti, come la ragazza che si denuda completamente davanti a lei, all’immobilità assoluta. Una prestazione così rivoluzionaria, per la sua essenzialità, e come scritto poco fa, che ha spinto il regista Matthew Akers a girare un documentario che poi si è trasformato in film. Sette ore al giorno di riprese costanti incentrate sull’attrice e su chi le sedeva davanti. Tre mesi e quasi un milione di visitatori hanno dato vita a un pot-pourri suggestivo e malinconico. Uno spaccato quotidiano sulle persone che ci circondano e che per un lungo istante ha annullato la frenesia che ci attanaglia, minuto dopo minuto. Nel film documentario, Marina Abramovic ci porta dentro il mondo di Marina, mentre si prepara per quello che potrebbe essere il momento più importante della sua vita: una grande retrospettiva, somma del suo lavoro.

È impressionante vedere la quantità di gente che davanti a lei è scoppiata a piangere, o che si portava la mano all’altezza del cuore all’apice dello struggimento, mentre lei non faceva altro che fissarli uno a uno col suo sguardo addestrato, con disciplina ferrea, a sembrare costantemente intenso. Melodrammatico.
Leggendo i molti articoli apparsi in questo mondo virtuale, ho avuto modo di raccogliere alcune dichiarazioni di chi era vicino all’artista.
“È stata una specie di catarsi per loro” spiega l’Abramovic, “alcuni piangevano come bambini, altri si sentivano smarriti”.
Klaus Biesenbach, il curatore della retrospettiva al MOMA, rincara la dose: “Il pubblico si abbandona incondizionatamente”, “alcuni s’innamorano di lei”. Arthur Danto, sottolinea come davanti a “La Gioconda” la gente non resti più di trenta secondi, mentre davanti all’Abramovic può passare anche le ore.

Cosa dovremmo dedurne?
Che la sofferenza sia purificatrice?
Che la soggezione provata nel momento in cui uno ti guarda intensamente negli occhi ci elevi, anche, nello spirito? Che la durata di visione di un’opera sia proporzionale al suo valore?
Che dobbiamo pensare? L’arte, è quella cosa che lentamente ci fa tornare a essere “noi stessi”?

Credo che in ogni piccola e grande cosa, imbevuta d’anima e di sentimenti, ci si possa ritrovare.
A patto però di ammettere d’essersi “persi” per un po’. Dovremmo avere il coraggio di fermarci; Fare un profondo respiro e guardare negli occhi le persone che, via via nel tempo, ci sfiorano.
E1Del documentario mi porterò in cuore un frammento. Pochi fotogrammi che mi ricorderanno di rubare un po’ più di tempo al tempo. Tra le persone che si sono sedute di fronte all’Abramovic al MOMA c’è stato anche il suo compagno storico, Ulay, CLICCATE QUI, che ha lavorato insieme a Marina dal 1976 all’89 e separatosi da lei con una performance impegnativa: novanta giorni di camminata per dirsi addio sotto la grande muraglia cinese. Guardarsi in silenzio uno dinanzi all’altro era un loro cavallo di battaglia ai tempi in cui la performance art stava ancora studiando per ottenere il diploma d’arte. Rivedere Marina e Ulay sotto i riflettori del MOMA con lei che si lascia andare alla commozione e gli tende la mano ha scaldato il cuore del pubblico e fatto scattare un applauso liberatorio. E io non nego di aver pianto come una fontana. Il dio dell’autenticità stava di nuovo lì a reclamare il suo sacrificio emotivo.

Per concludere; La seducente, scandalosa e impavida Marina Abramovic ha ridefinito il concetto di cosa sia l’arte per quasi quarant’anni. Fragile e forte allo stesso tempo, ha utilizzando il proprio corpo come un veicolo, spingendosi oltre i suoi limiti fisici e mentali e, a volte rischiando la sua vita per farci conoscere un’altra sfumatura dello spettacolo shock e per commuoverci. Attraverso di lei e con lei, i confini sono stati attraversati, la coscienza si è espansa e l’arte come la conosciamo è rinata. E Marina, molto semplicemente, è uno degli artisti più interessanti del nostro tempo.

E io la amo.

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Immagini: Google immagini

Link: http://www.marinaabramovicinstitute.org/noqt

                    http://it.wikipedia.org/wiki/Marina_Abramovi%C4%87

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“L’ULTIMA CENA CON GARDINI”

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“23 LUGLIO 1993-23 LUGLIO 2013”

Sono passati vent’anni dalla morte di Raul Gardini.

Le indagini conclusero che Gardini si fosse sparato un colpo di pistola alla testa. Ma sulle ragioni e la dinamica della morte dell’imprenditore restano ancora molti dubbi (la pistola fu ritrovata riposta sul comodino, lontana dal cadavere). Inoltre, la scena del presunto suicidio venne irrimediabilmente alterata dalla solerzia dei barellieri, che rimossero il cadavere di Gardini così come le lenzuola e i cuscini della stanza prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, rallentate da un’errata segnalazione che le indirizzava verso Via Belgioioso, sita ben lontano da Palazzo Belgioioso”… Io credo, ed è una mia misera opinione, che il “mistero della suicidazione” di Gardini rimarrà uno dei tanti enigmi, pseudo-risolti, d’Italietta. La stessa Italietta che produce, anche “quei”, magistrati che mettono in libertà gli assassini. Non vi sto a ricordare che la piccola BEATRICE PAPETTI è stata assassinata in un “Omicidio Stradale” e “il magistrato, ligio al dovere” ha pensato bene di mettere “tale sedicente signore”, tra l’altro di nazionalità magrebina, agli arresti domiciliari. Per il resto, non c’è da meravigliarsi più di nulla. Generalmente a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca sempre. E se il Dott. Feltri, a vent’anni dalla morte dell’imprenditore, ricorda,con una punta di nostalgico rimpianto, l’ultima cena con “Il pirata Gardini”, sta a sottolineare che i dubbi non sono stati “Mai” dipanati. Già, forse il Dott. Feltri non ha “Nessun Dubbio” sulla morte di Gardini; Sulla morte di un amico. Di seguito l’articolo di Vittorio Feltri, da “Il Giornale.it”.

E poi ogni uno di voi, cari lettori, tragga le debite conclusioni. Buona lettura.

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“LA MIA ULTIMA CENA CON GARDINI”

Di Vittorio Feltri

Di Pietro si lava la coscienza. Ma quel colpo alla tempia fu tutt’altro che un suicidio d’istinto. Il carcere gli faceva più paura della morte. Vi spiego perché.

Ieri, mentre leggevo l’intervista su Raul Gardini rilasciata da Antonio Di Pietro ad Aldo Cazzullo per il Corriere della sera, la memoria, non troppo arrugginita, mi ha restituito ricordi abbastanza nitidi sulle 36 ore che precedettero il suicidio dell’imprenditore, risalente alla mattina del 23 luglio 1993, vent’anni orsono, in piena buriana di Tangentopoli.

Il numero uno di Mani pulite nonché fondatore di Italia dei valori, recentemente tornato al lavoro dei campi non per imitare Cincinnato ma perché costrettovi dalla mancata rielezione in Parlamento alle ultime consultazioni (24-25 febbraio scorso), afferma che l’allora padrone della chimica nazionale si sparò alla tempia, togliendosi la vita all’istante, «in un moto d’impeto non preordinato coerente con il personaggio, che era lucido, razionale, coraggioso».

Insomma, un suicidio d’istinto, dettato dalla consapevolezza che quella stessa mattina, dovendosi recare in Procura per essere interrogato sulla madre di tutte le stecche (Enimont), probabilmente sarebbe stato arrestato e incarcerato. Come tanti prima di lui. Non mi permetterei mai di contraddire l’ex Pm a riguardo dell’inchiesta, dato che era materia sua, mentre io ne raccontavo gli sviluppi col distacco tipico di chi è chiamato soltanto a riferire; tuttavia posso testimoniare che, invece, Gardini non premette il grilletto così, all’improvviso, in un momento di disperazione, ma dopo avere covato il proposito relativamente a lungo: minimo 36 ore, come dicevo sopra.

Spiego perché. La sera del 21 luglio cenai con lui nella sua casa di piazza Belgioioso (vicino a piazza Meda, dove c’è il Disco dello scultore Arnaldo Pomodoro). Ignoravo e ancora ignoro il motivo per il quale mi avesse invitato. Fui sorpreso, ma accettai la sua proposta senza pormi problemi: non volevo essere scortese con un uomo che, oltretutto, era stato fra gli azionisti del giornale che dirigevo a quel tempo, L’Indipendente, quotidiano dedito alla narrazione dei fatti prodromici alla caduta della Prima Repubblica. All’ora convenuta, le 20.30, mi presentai davanti al portone dell’elegante palazzo. Mi ricevette un garbato signore, suppongo il maggiordomo, che mi introdusse nell’austera dimora. Fui fatto accomodare in un salotto e attesi. Ero un po’ agitato, anche perché non conoscevo l’ospite illustre. D’altronde, si prova un certo imbarazzo nell’incontrare un potente mai frequentato in precedenza, specialmente quando non sai che cosa si aspetti da te.

Trascorsi alcuni minuti, il magnate si appalesò: abito grigio antracite, capelli bianchi, espressione severa. Dopo i soliti convenevoli – stretta di mano, come sta?, bene grazie, e lei? – si sedette di fronte a me, ma aprì bocca soltanto per ordinare al cameriere di servire l’aperitivo: champagne Veuve Clicquot. Scuro in volto come uno cui sia stato diagnosticato un cancro che non perdona, Gardini bevve un sorso, deglutì e si accese una Muratti Ambassador. Gli chiesi se potessi fare altrettanto. Con la sigaretta tra le labbra mi illudevo di recuperare disinvoltura. Trovai soltanto il coraggio di rompere il silenzio di tomba, rivolgendogli la domanda più cretina in quella circostanza surreale: «Che ne dice, presidente, di questa mattanza di politici e imprenditori?».

Tirò un sospiro, aspirò del fumo in abbondanza, poi sconsolato osservò: «Speravo fosse lei a darmi qualche notizia». Risposi in automatico: «Tutto quello che so l’ho scritto. Ma ogni giorno ce n’è una nuova. Ormai i cancelli di San Vittore sono girevoli, purtroppo solo in entrata, come le porte degli alberghi». Il suo commento fu molto sintetico: «Già». Per fortuna si inserì il cameriere con una variante alla stringata conversazione: «Se lo desiderano, prego, la cena è pronta». Gardini si alzò e mi indicò la sala da pranzo. Con sgomento constatai che la tavola era apparecchiata per due, dal che ebbi a desumere che per un’oretta, forse di più, sarei stato costretto, senza l’ausilio di altri commensali, a escogitare un espediente per sciogliere il rigidissimo padrone di casa.

Provai in ogni modo a stimolare il suo interesse. Non ci fu verso di fargli cambiare espressione: occhi fissi sulla minestrina di alta
cucina ospedaliera, la mano destra impegnata col cucchiaio, le dita della sinistra che stringevano la sigaretta come fosse l’ultima, quella di un condannato a morte. Gardini sorbiva un po’ di brodino e fumava; ogni tre cucchiaiate e due boccate, beveva champagne. Parole, zero. Un incubo. Non comprendevo il senso di quella serata. Perché mi avrà invitato qui per non dirmi niente?, mi domandavo.

Di sottecchi controllavo l’orologio: le lancette sembravano paralizzate. Ero infastidito oltre che stupito. In un obitorio ci sarebbe stata un’atmosfera più serena che in quella sala da pranzo. Per adeguarmi ai ritmi del padrone di casa, bruciai una sigaretta dietro l’altra. Ero al corrente che Gardini non stava messo bene: le voci di un suo probabile arresto circolavano da settimane. Per cui non mi fu difficile intuire da che cosa dipendesse il suo umore tetro. Rimaneva un mistero: perché convocarmi al suo desco? Forse pretendeva da me qualche dritta. Avendogli però detto, non appena giunto in piazza Belgioioso, che non avevo informazioni fresche, egli si rese conto dell’inutilità della mia presenza, e sprofondò nei suoi cupi pensieri.

L’ipotesi di spararsi non credo gli piacesse, ma gli piaceva ancora meno, evidentemente, quella di subire l’umiliazione del carcere. Mai suicidio fu più meditato, altro che «moto d’impeto». Di Pietro non deve pentirsi di non avere arrestato Gardini prima che questi ponesse fine ai suoi giorni. Un Pm fa il suo mestiere secondo coscienza, se ce l’ha, altrimenti rischia di usare la custodia cautelare (che espressione gentile, ma la galera è galera) quale scorciatoia per arrivare subito al nocciolo: la confessione. Il sistema è efficace, indubbiamente, ma può provocare disastri. E infatti seguita a provocarne.

V.F.

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PER APPROFONDIRE:

https://emiliadiroccabruna.wordpress.com/2012/01/08/raul-gardini-e-la-casa-che-uccide-3/

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RIP CAPITANO

“MARIA GABRIELLA”

AD MEMORIAM
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Veleggio come un’ombra
nel sonno del giorno
e senza sapere
mi riconosco come tanti
schierata su un altare
per essere mangiata da chissà chi.
Io penso che l’inferno
sia illuminato di queste stesse
strane lampadine.
Vogliono cibarsi della mia pena
perché la loro forse
non s’addormenta mai. (Alda Merini)

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Maria Gabriella;

Ho provato a scriverti una poesia; ma non ho trovato le parole. Eppure scrivere è ciò che a volte mi riesce meglio. Ma ieri, nella notte, mi sono aggirata per casa cercando qualcosa da regalarti. Un piccolo dono da avvolgere in una carta colorata. Non avevo nulla da donarti; Povere cose terrene, un cuore un pò sbatacchiato e qualche supido dolore… Ma oggi, nel pomeriggio, passeggiando tra i viali alberati del “piccolo castello” che mi ospita, sono stata inebriata dal profumo dell’erba appena tagliata, stupita dal colore giallo di una ginestra in fiore e tra le fronde opulente di una fitta siepe di glicine, dalle sfumature violacee, mi sono accorta che una farfalla mi occhieggiava curiosa. Ho lasciato che il tempo scorresse sulle mie spalle, ho lasciato che la farfalla mi volasse accanto, mi sfiorasse, con un delicato battito d’ali, il viso fino ad andarsi appoggiare in testa. E’ stato un attimo eterno e magico. Lì, ho sentito che c’eri. Eri con me, in me. Eri il verde dell’erba tagliata. Eri il profumo del glicine in fiore, eri il giallo della ginestra. Eri il sole che danzava tra l’ombra dei pini secolari. Eri l’aria calda che mi abbracciava. Ieri, come oggi, come sempre, il dono lo hai fatto tu a me. Eri la farfalla che mi accarezzava piano. Allora ho compreso. Ho sorriso al vento, guardando in alto il cielo terso e azzurro. E ti ho regalato il sorriso più bello che avevo. Come ora, ti regalo ciò che posso. Un pensiero semplice; Un abbraccio con tutto l’affetto che ho. Ovunque tu sia. Ovunque volano le tue ali. Sei nei pensieri e se a volte piango nella pioggia, perdonami. Proteggi chi ti vuole bene. Ciao.

Tua Emilia

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“ICAA- INTERNATIONAL CRIME ANALYSIS ASSOCIATION”

INTERNATIONAL CRIME ANALYSIS ASSOCIATION

COS’E’ L’ICAA

icaaL’Associazione ICAA (International Crime Analysis Association) è una associazione no-profit con sede principale a Roma e sedi operative in varie città italiane ed estere, che svolge attività di studio in aree tematiche psicologico-giuridiche e criminologiche, con particolare attenzione alle forme criminali emergenti. E’ stata fondata nel 2002 dal Prof. Marco Strano, Psicologo e Criminologo (che la presiede), insieme al Dr. Alfonso Terrana e dl Dr. Giacomo Badalamenti, esperti medici legali e criminologi siciliani e da altri professionisti del settore. L’I.C.A.A. riunisce, come associati, studiosi ed operatori internazionali del settore criminologico, provenienti in prevalenza dal mondo investigativo, accademico e professionale. Nell’ICAA sono confluiti il know-how e gli strumenti di ricerca dello IURC, precedente Associazione fondata nel 1999 da Marco Strano e da Carlo Serra. Il sodalizio attualmente annovera nel mondo più di 7000 soci, molti dei quali appartenenti alle forze di polizia italiane ed estere nonché al mondo accademico e professionale. Collabora con numerose istituzioni e con diverse prestigiose società scientifiche internazionali. Il sito web dell’associazione rappresenta il punto di riferimento per studiosi di materie criminologiche ed investigative di tutto il mondo. E’ completamente gratuito e contiene numerose aree tematiche specialistiche e una rivista divulgativa sulla vita dell’Associazione. Sul sito vengono presentati i vari progetti di ricerca sviluppati dall’associazione e varie proposte di training specialistico dedicato ai soci oltre che una serie di articoli full-text su varie tematiche di studio. La ricerca criminologica rappresenta “il cuore” dell’ICAA. Attualmente sono in corso numerosi progetti di ricerca, alcuni in fase avanzata e già con i risultati pubblicati, altri in fase di progettazione, che vengono realizzati con le risorse del sodalizio e a volte in partnership con aziende di settore. Gli studi dell’ICAA hanno sempre carattere applicativo, vale a dire che i risultati ottenuti confluiscono sempre in un’attività di prevenzione o di miglioramento delle tecniche investigative o diagnostiche.

STRUTTURE ICAA

2ICAALa ricerca criminologica rappresenta da sempre “il cuore” dell’ICAA. Attualmente sono in corso numerosi progetti di ricerca, alcuni in fase avanzata e già con i risultati pubblicati, altri in fase di progettazione, che vengono realizzati con le risorse del sodalizio e a volte in partnership con aziende di settore. Gli studi dell’ICAA hanno sempre carattere applicativo, vale a dire che i risultati ottenuti confluiscono sempre in un’attività di prevenzione o di miglioramento delle tecniche investigative o diagnostiche. Nell’ambito dell’Associazione sono attive delle Sezioni operative dedicate a particolari fenomeni criminali che effettuando attività di studio e alcune anche di intervento sociale (stalking, child abuse e sette).

SEZIONI DELL’ICAA

  • Osservatorio Nazionale sulla sicurezza urbana (patrocinato dall’UGL Polizia di Stato)
  • Ambulatorio Antisette
  • Equipe antistalking
  • Centro di Psicologia applicata (sede di tirocini universitari per le Facoltà di Psicologia convenzionate)
  • Sezione di Geologia forense (patrocinata dall’Ordine dei Geologi della Lombardia)
  • Intelligence LAB
  • Criminal Profiling LAB
  • Cold Case Unit
  • Sezione mantrailing forense
  • Sezione droni
  • Sezione child abuse

DOTT. MARCO STRANO – DIRETTORE SCIENTIFICO

252873_2005569706281_627162_nMarco Strano, attualmente Funzionario della Polizia di Stato e dirigente nazionale UGL Polizia di Stato (responsabile ricerca scientifica e formazione), ha iniziato la sua attività professionale nel contrasto della criminalità organizzata nel nucleo speciale dell’Alto Commissario Antimafia dove ha operato per più di 10 anni e nei Servizi di Intelligence dove ha prestato servizio per ulteriori 8 anni. Poi dal 2001 ha rimesso la divisa e ha assunto la direzione dell’Unità di Analisi dei Crimini informatici della Polizia delle Comunicazioni impegnandosi nella lotta alla pedofilia su internet. Dal 2006 al 2012 è stato il responsabile dell’area Criminologia e Criminal Profiling del Centro di Neurologia e Psicologia Medica della Polizia e dal 2013, sta organizzando una speciale sezione di Psicologia applicata presso il Comando interregionale della Polizia di Stato che coordina l’Italia centrale. Marco Strano, parallelamente all’attività istituzionale, svolta sempre con il massimo del rendimento, si è dedicato da più di 20 anni ad attività di ricerca scientifica in ambito criminologico e psicologico con particolare attenzione alla tutela dei minori. Sta infatti sviluppando da alcuni anni dei software di supporto alla diagnosi di abuso sui minori e ha condotto, a partire dal 1999, dei pionieristici studi sui rischi dei minori nell’uso di internet e dei telefoni cellulari. Dal 2004 è l’ideatore e coordinatore di un gruppo di volontari che offrono assistenza psicologica e legale gratuita a coloro che sono entrati in una setta o sono caduti vittima di maghi e guaritori e ha progettato uno speciale protocollo di intervento per le vittime di stalking.

CONTATTI

E-mail ICAA:

segreteria@icaa-italia.org

tel: 340 0703739

Via Pasquale Galluppi 8 00136 Roma

LINK

ICAA:     http://www.criminologia.org/

http://www.criminologia.org/criminologi-e-media

http://www.criminologia.org/crimenetwork

Ringrazio il Dott. Marco Strano per la gentile concessione di testi e di immagini.

Emilia Di Roccabruna

“W. HA FOR VIETNAM”

” W. HA FOR VIETNAM “

di Emilia di Roccabruna e CHIARA TUYẾT PHƯƠNG HUỲNH

“Dove è errore, che io porti la verità.

 Dove è disperazione, che io porti la speranza.

 Dove è tristezza, che io porti la gioia.

 Dove sono le tenebre, che io porti la luce”.

San Francesco d’Assisi

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Nella condotta di molti “giovani di oggi” non è né difficile né raro affermare, forse un po’ troppo semplicisticamente, che essi non hanno valori che li sostengano e li guidino, non nutrono ideali che li facciano impegnare responsabilmente, non si prefiggono mete elevate da raggiungere, soprattutto se richiedono sacrificio. Insomma, i giovani di oggi non coltiverebbero interessi validi né per se stessi ne per gli altri, in quanto sarebbero privi di valori morali veri. I “nostri” giovani, vengono dipinti, e lo vediamo nei notiziari o peggio nelle pagine di cronaca nera, sballati, bamboccioni, traviati da un mondo effimero e sommersi da messaggi che li spingono verso visioni incerte e superficiali della morale. Mi chiedo se sia davvero così. E, soprattutto, mi domando: quali sono i valori che i giovani di ieri avevano e che i ragazzi di oggi dovrebbero avere e non hanno? Quali sono gli ideali che hanno fatto sognare e vivere la generazione di ieri e di cui l’attuale generazione sarebbe priva? Sforzarsi di trovare lealmente risposte a questi interrogativi è di grande importanza per il bene sia dei giovani e sia dell’intera società. Infatti, il futuro delle società e il destino di tutta l’umanità sono strettamente connessi alle scelte dei giovani, da cui dipendono inevitabilmente. Ma c’è l’altro lato della medaglia, c’è la sfacettatura di chi lotta per gli ideali di pace e condivisione. C’è chi dona parte di se, e il superfluo, per scelte di vita, forse utopiche che portino pace e gioia. Ci sono ragazzi e ragazze che donano il loro tempo, diventando volontari, missionari di pace, angeli di chi non ha nulla e c’è una giovane donna che si sta impegnando per riportare un sorriso a chi lo ha perso. In questo articolo, vi racconterò l’esperienza di una mia carissima  amica Chiara…

D) Ciao Chiara, mi racconti chi sei e la tua esperienza?

image_1366473902141287“Sono CHIARA TUYẾT PHƯƠNG HUỲNH ho ventitré anni, sono nata in Italia da genitori vietnamiti fuggiti dal Vietnam a causa della guerra. Nel 2011 mi sono laureata in lingue, e il mio sogno da sempre è lavorare in ambito umanitario. Nel tempo libero cerco di sfruttare le mie conoscenza linguistiche per svolgere ciò che da sempre mi dà più soddisfazione: aiutare i bambini meno fortunati nel mondo, i poveri e i malati. L’anno scorso,  ho avuto la possibilità di trascorrere dieci giorni a casa dei miei parenti a Ho Chi Minh nel sud del Vietnam e mi sono trovata davanti ad una realtà difficile, dove la felicità dei bambini sta nelle piccole cose, ad esempio un bicchier d’acqua o in una scodella di riso bianco. Ho sempre sentito parlare delle situazioni di povertà nel mondo e in particolare in Vietnam, poiché è la città natale di mia mamma e per questo nella sua giovinezza ha vissuto in prima persona povertà, miseria e disperazione. Tuttavia, nulla di ciò che immaginavo, poteva riflettere la realtà che ho visto. Non potevo credere ai miei occhi. Ho visto gente vivere in misere capanne insieme ai maiali, dormire per terra sugli escrementi. Ho visto bambini abbandonati per strada, ciechi e orfani, sporchi, affamati, non vedenti, che sbattono la testa, cadono e si rialzano alla ricerca di una mano amica che può dare loro un po’ di conforto, qualche cura o una semplice tazza di riso. E poi, ci hanno raccontato di neonati venduti per 150 dollari. Vivere a stretto contatto con la realtà di quelle zone cambia la visuale della vita. Io sono sempre stata fortunata, e me ne sono resa conto nello scontrarmi con la realtà devastante di quelle zone. Ho avuto modo, insieme a mia madre, di visitare i luoghi della sua giovinezza e siamo state ospiti di un istituto che ospita cinquanta bambini ciechi, affetti da Aids e da problemi psichiatrici dovuti al sottosviluppo celebrale. L’istituto che ho visitato a Ho Chi Minh funziona in modo egregio, nonostante le difficoltà e la scarsa quantità di fondi a loro disposizione, grazie all’aiuto delle suore, che non percepiscono nessun tipo di stipendio e del personale volontario. Circa cinquanta bambini, non vedenti e per la maggior parte orfani, possono vivere in questo istituto ed è dato loro il diritto a una vita dignitosa con la possibilità d’istruzione, di pasti regolari, di giocare, imparare e nei casi più gravi, per quanto possibile, sono fornite alcune cure mediche.  La “CBM” è un’organizzazione internazionale cristiana interconfessionale senza scopo di lucro che si occupano delle persone con problemi alla vista, dei non vedenti e dei disabili fisici e mentali nei paesi in via di sviluppo, senza distinzione di nazionalità, razza, sesso e religione. Il lavoro di “CBM” si basa sull’assistenza medica, intesa come prevenzione e cura della cecità, così come sulla riabilitazione, educazione e formazione professionale dei disabili per una loro integrazione nella società”.

D) Cos’è la “CBM”?

“L’organizzazione “CBM” è un’Onlus; Nasce nel 1908, dall’opera di un pastore tedesco: Ernst J. Christoffel, nel 1989 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) riconosce ufficialmente la CBM come “Organizzazione professionale nella prevenzione della cecità”. L’Opera di “CBM” fino ad oggi è stata finanziata da oltre un milione di donatori nel mondo e solo il 5% dei finanziamenti deriva da contributi governativi. Cinque sono le principali malattie della vista che gli operatori di “CBM” devono affrontare ogni giorno: cataratta, tracoma, onconcerosi, avitaminosi A, glaucoma.

CATARATTA, prima causa di cecità nel mondo, ha reso cieche venti milioni di persone, cioè il 50% della totalità dei non vedenti; la cataratta è curabile: un intervento chirurgico di circa quindici minuti in anestesia locale del costo di circa 26 euro, può salvare la vista di una persona in pericolo.

TRACOMA, è una malattia diffusa in zone dove manca acqua potabile cioè pulita, e dove ci sono molte mosche. La malattia provoca arrossamento, gonfiore e graduale chiusura delle palpebre. Le ciglia si rivoltano all’interno e, così, a ogni battito, sfregano sulla cornea danneggiandola sino a provocare la cecità. Ci sono 146 milioni di persone sono affette da infezione dovuta al micro-organismo Clamidia Trachomatis, per il quale è necessario un trattamento antibiotico; dieci milioni e mezzo di persone hanno bisogno di un intervento chirurgico e sei milioni, invece, sono già ciechi a causa delle conseguenze devastanti del tracoma sulla cornea.

ONCONCEROSI, detta anche “cecità dei fiumi”, è un’infezione causata da una piccola mosca, la mosca nera o mosca simulium. Questa, una volta punto l’individuo, deposita all’interno del corpo le proprie larve, che possono vivere per oltre dodici anni, riproducendo altre centinaia di microscopiche larve. Alcune di esse riescono a colpire anche gli occhi, privando così della vista la persona infetta. La malattia, diffusa in trenta paesi dell’Africa e in alcune zone dell’America latina e in Vietnam, affligge diciassette milioni di persone, delle quali circa 500mila ha definitivamente perso la vista.

XEROFTALMIA, rende ciechi ogni anno 350mila bambini e circa un milione e mezzo è esposto al rischio di perdere la vista. Causa principale di questa malattia è la mancanza di vitamina A, che colpisce soprattutto i bambini, a seguito di un’alimentazione povera. L’insufficienza di vitamina A, fa si che la mucosa e la cornea dell’occhio si asciughino e se infettino. A questo punto la parte più chiara della cornea si trasforma in cicatrici bianche e opache che portano a una cecità definitiva e irreversibile. Inoltre, la malnutrizione, unita a condizioni sanitarie precarie, indebolisce l’organismo privandolo delle difese immunitarie ed esponendolo quindi a malattie, come il morbillo che nei paesi poveri può avere esiti mortali. La xeroftalmia può essere curata preventivamente con la somministrazione periodica di capsule di vitamina A.

GLAUCOMA, è responsabile della cecità di circa cinque milioni di persone nel mondo. E’ una malattia caratterizzata dalla progressiva riduzione della vista a causa dell’aumento della pressione interna dell’occhio che avviene per accumulo dell’umore acqueo. Allo stadio iniziale il paziente non avverte alcun dolore; per tale ragione spesso la malattia è scoperta quando il nervo ottico è già seriamente danneggiato: Il trattamento si basa sull’esame della pressione dell’occhio, l’uso regolare di un collirio e un’operazione. Sono stati, inoltre, distribuiti: occhiali, terapia di vitamina A e migliaia di tubetti di tetraciclina. Voglio ricordare che la “CBM” sostiene 1032 progetti in 110 paesi attraverso l’aiuto di 116 specialisti e di circa 10.000 collaboratori locali”.

D) Chiara, che cosa hai provato?

“Emotivamente, l’esperienza di tenere in braccio un bambino mentre ti sorride ingenuamente, quando lo stesso non sa che a causa delle scarse condizioni sanitarie non gli resta molto tempo da vivere, è stata struggente.  Sentire quel piccolo essere che si stringe a te, avvertire il suo piccolo cuore vicino al mio, mi ha dato gioia e dolore allo stesso tempo.  E’ stato difficile ridere con i bambini e giocarci quando la realtà in cui vivono è così misera; Eppure ti accolgono nella loro povertà, riuscendo a condividere con te  quel poco che hanno, e la loro generosità ti fa capire quanta sia felicità di “donare” a te quel piccolo nulla. E mi sono chiesta: “Perché questi bambini non possono meritarsi una vita dignitosa? Cos’hanno fatto per meritarsi una vita tanto triste e povera, con un destino segnato sin dal momento in cui vengono alla luce? E se non li aiutiamo, noi, impegnandoci l’uno con l’altro, chi potrà farlo?”.

D) E tu che cosa vorresti fare di concreto per aiutare questi bambini?

893362_546421905388250_1318022395_o“Purtroppo le disponibilità economiche personali non mi permettono di fare grandi cose, di  fronte a tutte queste situazioni e nemmeno a un piccolo numero di esse. L’unica possibilità, per me, appena tornata a casa, era quella di intraprendere un percorso “di costruzione e di condivisione” che potesse coinvolgere più persone. Viviamo in un’epoca in cui abbiamo tutto e molto spesso un nostro banale capriccio può significare per loro un intero mese di cibo o una medicina che può salvare la loro vita.  E insieme alla mia famiglia, abbiamo deciso che dovevamo diventare il mezzo con il quale riuscire fornire piccoli e grandi aiuti. Inizialmente,  vorremmo aiutare i bambini che ho conosciuto nell’istituto di Ho Chi Minh , e poi, ci piacerebbe poter estendere l’aiuto anche, a tanti, quei bambini che sono abbandonati a se stessi e buttati come immondizia in giro per le strade. Il mio desiderio più grande sarebbe quello di riportare speranza a chi, ormai, non ne ha più. Abbiamo creato al progetto ” W.HA FOR VIETNAM ” che  propone di aiutare i bambini più bisognosi tra cui orfani, abbandonati, malati, vittime di violenze o povertà a crescere in modo normale nella propria città natale. Vorrei, con una raccolta di fondi, poter far ampliare la struttura che ospita i bambini ammalati e il personale di supporto, in modo tale si possa ospitare più bambini. Su tale progetto io, la mia mamma “Cecilia” Đỗ Thị Yến , ci faremo aiutare dai miei familiari in Vietnam. Noi, insieme a chi ci “sponsorizzerà” ci prenderemo la responsabilità del progetto, e per  la costruzione dell’ampliamento della struttura saremo coadiuvati da personale locale, in modo da poter risparmiare sulle spese di materiali e manodopera per poter finanziare, poi, quanto più possibile le cure ai bambini”.

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D) Chiara, che cos’è un’Onlus? Come si costituisce?

“Le ONLUS – Organizzazioni non lucrative di utilità sociale, rientrano nella più ampia categoria degli Enti No profit, dove si collocano tutte le Organizzazioni, Associazioni, Circoli, Comitati, come pure Enti regionali e locali, che svolgono attività senza scopo di lucro. Questa è dunque la principale differenza tra gli Enti No Profit e qualunque altra forma di Associazione, che ha invece come obiettivo la realizzazione di un profitto. All’interno della categoria No Profit, le ONLUS – disciplinate dal Decreto Legislativo 460/97 – si differenziano dagli altri Enti per i destinatari dell’attività svolta, che sono terzi e non i soci o gli iscritti dell’Associazione stessa. Affinché un Ente No Profit sia riconosciuto come ONLUS è necessario che risponda a determinati requisiti, come previsto dall’art. 10 del d. lgs. 460/97 e cioè: 1. Deve perseguire uno degli scopi specificamente elencati nell’articolo citato 2. Deve costituirsi mediante Statuto o Atto Costitutivo, utilizzando la forma della scrittura privata autenticata o certificata o dell’atto pubblico 3. Deve iscriversi nell’apposita “Anagrafe unica delle ONLUS”, istituita presso il Ministero delle Finanze; a seguito dell’esito positivo della registrazione, l’Associazione avrà una serie di privilegi e agevolazioni di natura fiscale. Ho cominciato da zero, non sapevo ne come fare ne cosa fare, così mi sono informata pian piano. Ci tengo anche a dire che tutte le spese per la costituzione, bolli, spese varie etc., sono state pagate da me, dalla mia famiglia e da un caro amico Gianluca, che contemporaneamente fanno parte del direttivo dell’associazione, proprio perché vogliamo utilizzare le entrate delle donazioni (come fanno normalmente le associazioni) esclusivamente per il progetto, in modo tale che ogni singola donazioni vada solo ai bambini e non per tante altre cose. Ho inviato una copia dell’atto e dello statuto alla Direzione Regionale delle Entrate a Venezia. Devo dire che “loro” controllano tutto: dall’atto, allo statuto, al progetto, alla veridicità dei fatti; controllano tutti i documenti, l’associazione, ogni singolo componente e controllano anche tutte le altre informazioni. L’iter burocratico è lento, e ufficialmente l’associazione è nata il 18.4.2013. Ora attenderemo i “tempi tecnici” della Direzione Regionale delle Entrate, ed entro un mesetto, circa, “WORLD HUMANITARIAN AID” sarà riconosciuta come Onlus. Ho solo una speranza: essere aiutata nella raccolta di fondi, essere aiutata nel spargere la voce e fare in modo che tutti conoscano la realtà dimenticata dei bambini Ciechi”.

Ringrazio Chiara per aver condiviso con noi la sua esperienza, il suo dolore, le sue speranze e il desideri di fare qualcosa di concreto per chi soffre. Per i bambini. Per Noi. Facciamo qualcosa; Subito.

AIUTATECI a far conoscer questa storia e l’associazione  WORLD HUMANITARIAN AID.

Chi salva una vita, salverà il mondo intero.

Vi lascio qualche foto che ha scattato Chiara, e il nostro abbraccio più caro.

Emilia e Chiara.

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LINK UTILI : http://www.worldhumanitarianaid.com/?from_fb=1#!home/c11m6

https://www.facebook.com/world.humanitarianaid

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“SEI VUOI FARE IL FIGO USA LO SCALOGNO”

“SEI VUOI FARE IL FIGO USA LO SCALOGNO”

di Emilia di Roccabruna

se-vuoi-fare-il-figo-usa-lo-scalogno“Se vuoi fare il figo usa lo scalogno”
E’ il titolo di uno dei libri scritti da Carlo Cracco, importante e ottimo chef pluristellato del panorama gastronomico mondiale, edito da Rizzoli. Da qui, l’ispirazione di scrivere questo articolo.

In primo luogo, una volta si accendevano i riflettori. Adesso per avere successo in televisione si devono accendere i fornelli. In qualsiasi orario c’è uno chef, più o meno accreditato, pronto a impastare, mescolare, assaggiare e giudicare manicaretti di tutte le forme e colori (non sapori, perché non ci è dato assaggiarli). Si parte dal cattivissimo Gordon Ramsay, che tra una parolaccia e un insulto, troneggia come Re incontrastato dei fornelli (che è pure un gran bel tronco di pino!), al “cuoco-pseudoscrittore-vicentino-docg” Carlo Cracco, fino ad arrivare ai vari cuochi, cuochini e cuochetti “de noantri” ( …braccia rubate all’agricoltura e, spesso presi dalla strada… ) .

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In secondo luogo i programmi di cucina rilassano. Il cibo è bello da vedere, il procedimento di preparazione crea interesse perché genera una certa suspense sull’esito del piatto ma, contemporaneamente, permette allo spettatore di guardare senza sforzare più di tanto le facoltà intellettive. Inoltre l’uso di persone comuni, di casalinghe disperate, di giovanotti di belle speranze, serve a fare in modo che ci si possa identificare con loro e relegare il povero chef pluristellato di turno, che da sempre è il simbolo incontrastato di arroganza e di perfezione irraggiungibile, nell’angolo radical-chic dello snobismo cuochereccio. Ma allora, l’uso smodato della cucina in tivvù e la povertà nella realtà è “bulimismo mediatico”? Che cosa spinge gli italiani a scegliere i programmi enogastronomici? Da tempo, e non voglio entrare in questioni prettamente politiche, la consapevolezza di essere diventati più poveri, non solo ci viene sbandierata in continuazione dai vari talk “political-fantasy”, ma ci viene data dal quantitativo, alquanto misero, di cibo che compriamo al supermercato. Dalla quantità normale, siamo arrivati a comprare l’essenziale e sempre più spesso nemmeno quello. La stagnazione dell’economia si riflette sul calo del potere d’acquisto delle famiglie, costrette a sopravvivere più che a vivere. Le difficoltà economiche si riflettono, in particolare, sul cibo che le famiglie in difficoltà riescono a mettere sul piatto. Io sono stata fortunata, ho quello che mi serve per vivere e non conosco la povertà che si vede spesso in televisione. La povertà della gente che muore di fame e non ha nulla. Io sono una di “quelle persone” che conoscono la “povertà” di chi possiede qualcosa, di chi ha da mangiare e ha anche un tetto, un televisore, una macchina… Conosco quella sorta di “povertà piena di oggetti”, ma anche di scadenze. In questo tipo di povertà mi sento fortunata e sfortunata allo stesso tempo: c’è chi sta meglio di me e chi sta peggio. Mi viene da pensare che “la bulimia del cibo in tivvù” altro non sia, che il lasciarsi andare ad illusioni effimere che ci possono momentaneamente appagare, riempiendo il nostro cervello e la nostra pancia di quel “lusso”, che sta diventando il cibo. Tutto è precario, tutto è provvisorio, tutto è fragile e in attesa di momenti migliori.

tavolo delle festeVi ricordate una volta? Non mancava mai la farina in casa e non mancavano, di certo, le uova. Servivano a preparare i biscotti per la colazione o le tagliatelle per il pranzo. Non mancavano mai un paio di polletti nel giardino o qualche verdura piantata nell’orto. Tutto aveva un valore immenso e nulla veniva sprecato. Ma dagli anni ’60 in poi, nel boom miracoloso della crescita economica, si è iniziato a perdere il valore delle piccole cose. La farina è quasi scomparsa dalle dispense e gli ingredienti freschi, sono stati scambiati da una miriade di buste e di prodotti preconfezionati. La globalizzazione, ci ha portato in casa cibi di tutti i tipi e da tutte le nazioni del mondo. Già, mi sembra che ci siamo impoveriti anche nelle sane abitudini alimentari e familiari. La tavolata della “domenica”, tranne che nelle festività, è diventata un’abitudine sconosciuta, trapiantata da pasti frugali e consumati in solitudine. Ritorniamo, dunque, alle “abbuffate di cucina in tivvù” e su “gli italiani ai tempi della crisi”. Che ci sia una voglia-virtuale-reale di inversione di tendenza? Forse grazie alla crisi e grazie alla riscoperta del cibo preparato con le proprie mani, la tavola della cucina tornerà ad essere non solo il luogo dove si consumano i pasti, ma anche il posto dove si prepara tutto, o quasi, con amore e cura che ci farà ritornar al “quel qualcosa di antico” che si chiama condivisione.

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In fondo l’ingrediente magico, per arricchirsi un po’, è questo: Reinventare gli antichi sapori di “casa”; rimanere uniti nelle difficoltà per riscoprire i “valori” dimenticati, cibo per il cuore e per l’anima. E perché no, perdere qualche minuto in compagnia di un cuoco pasticcione per sorridere.
Per tornare a guardarci negli occhi, stringere la mano di un “nostro amato” commensale e darci una speranza per andare avanti.
Si è vero. In fondo, usare lo scalogno fa figo. Soprattutto se si possono condividere le piccole ricchezze e le piccole povertà con chi ci è accanto, con poche amiche che riscaldano il cuore e con chi si ama.
Domani è domenica. Prepariamo un buon bollito o un semplice dolce, senza dimenticare un sorriso. Tutto avrà un sapore diverso. Quello della speranza.

Un abbraccio caro a chi legge. Grazie a Carlo Cracco, che mi ha ispirato.

Vostra Emilia di Roccabruna

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“JFK, MARILYN E GLI UFO: REALTÀ O FAKE?”

“JFK, MARILYN E GLI UFO: REALTÀ O FAKE?”

di Emilia Di Roccabruna

Oggi ci troviamo sul limite di una Nuova Frontiera, una frontiera di possibilità e di pericoli sconosciuti. Riusciremo a sopravvivere in un’epoca in cui siamo testimoni della corsa agli armamenti nucleari, dei progressi scientifici, della conquista dello spazio”. JFK–Discorso di accettazione alla candidatura 15 Luglio 1960

“JFK, Marilyn Monroe, Majestic12, Ufo, Area51, Complotti, Mistero”

A molti di voi, miei cari lettori, queste parole sembreranno senza senso. Qualche termine e un paio di nomi, vi farà ricordare la storia di una giovane attrice “pseudo svampita”, suicida in circostanze inusuali e l’omicidio di un Presidente degli Stati Uniti. In questo articolo, vi racconterò le connessioni tra le parole che ho segnato sopra. Coincidenze, sincronie, falsi complotti o semplici realtà romanzate dai media? Sopravviveremo a quest’epoca reale e virtuale dove, fondere per creare mostra nuove sfaccettature e vecchie verità? Iniziamo dai fatti che la storia ci consegna.

jfk-1John Fitzgerald Kennedy: “comunemente chiamato John Kennedy o solo JFK, (Brookline-MA, 29 maggio 1917 – Dallas-TX, 22 novembre 1963), è stato un politico statunitense, 35º Presidente degli Stati Uniti. Candidato del Partito Democratico, vinse le elezioni presidenziali del 1960 e succedette al Presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower. Assunse la carica il 20 gennaio 1961 e la mantenne fino al suo assassinio. Kennedy, di origine irlandese, è stato il primo Presidente degli Stati Uniti di religione cattolica. Fu il primo presidente statunitense ad essere nato nel XX secolo ed il più giovane a morire ricoprendo la carica. La sua breve presidenza, in epoca di guerra fredda, venne segnata da alcuni eventi molto rilevanti: lo sbarco nella Baia dei porci, la Crisi dei missili di Cuba, la costruzione del Muro di Berlino, la conquista dello spazio, gli antefatti della Guerra del Vietnam e l’affermarsi del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Kennedy venne assassinato il 22 novembre del 1963 a Dallas, in Texas”. (FonteWiki)

Marilyn Monroe: “nome d’arte di Norma Jeane Mortenson Baker (Los Angeles, 1 giugno 1926 – Los Angeles, 4 agosto 1962), è stata una modella, un’attrice, cantante e produttrice cinematografica statunitense”. (FonteWiki)

m-mmnoire009Norma, nasce da una una donna sola e dal fragile equilibrio che rispondeva al nome di Jeane Baker. Vedova da molto tempo, si disse, fosse rimasta incinta dopo uno stupro. Nacque la piccola Norma Jeane, nonostante le condizioni mentali fossero molto precarie. L’eredità che la madre lasciò alla figlia fu “proprio” quell’insoddisfazione esistenziale che la spinse dietro i muri di un istituto di igiene mentale. Con la madre ricoverata in manicomio e sola, la piccola Norma, trascorse la sua infanzia fra le famiglie adottive, casa-famiglia e vari orfanotrofi. Tutto ciò le comportò una forte instabilità emotiva, che la diva si trascinò, come un fardello, lungo il corso della carriera. La conseguenza di questo stato psichico è il rifugio nell’alcool e nei barbiturici. Nella notte del 4 agosto 1962 Marilyn viene rinvenuta cadavere nel suo appartamento. Scompare il simbolo della diva tormentata, ma allo stesso tempo rinasce come icona immortale che va oltre le luci e le ombre del divismo hollywoodiano. Marilyn oltre a rappresentare il trionfo cinematografico, diventa il simbolo del fallimento umano. Una donna oggetto, come si autodefiniva; una donna affamata d’amore. Il riassunto della sua vita, si riduce a poche parole che ripeteva spesso :“Hollywood è quel posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e 50 centesimi per la tua anima. Io lo so perché ho rifiutato spesso la prima offerta e accettato i 50 centesimi.

JFK-MARILYNJFK e Marilyn si conoscono in una calda estate del 1954. Quando il destino intreccia le loro strade lei è già Marilyn Monroe, un’attrice famosa e conturbante, l’innocente svitata dalle curve mozzafiato e John Fitzgerald Kennedy, ambizioso e affascinante, marito infedele di Jaqueline Bouvier, è già senatore del Massachussets. Si frequenteranno, clandestinamente, per anni. Lui, in continua ascesa, nel 1960 viene eletto presidente degli Stati Uniti. Lei passa da un set all’altro, da un uomo all’altro e da un marito all’altro. Spesso Marilyn non riesce a superare le crisi nervose che la colgono. Nella relazione che intercorre tra i due, JFK scopre che Marilyn non è il cliché di bionda svampita per eccellenza, ma si rende conto che, dietro la facciata superficiale, si nasconde una donna intelligente e alla quale non sfugge nulla. Non le sfuggirono, probabilmente, i viaggi improvvisi di John verso mete lontane, come per esempio: basi dell’aeronautica nel deserto del Nevada ( l’Area 51), al fine di vedere “qualcosa proveniente dallo spazio”, come risulterebbe da conversazioni telefoniche della stessa Marilyn, intercettate dai servizi segreti. Improvvisamente JFK fa retromarcia, la lascia. Ecco i suoi pianti, il terrore della solitudine, la minaccia quasi infantile di rivelare tutto ciò che Mr President le aveva confidato sugli Ufo e su altre “faccende scottanti”.

JFK la lasciò veramente?

marilyn-john-fitzgerald-kennedy-e-robert-kennedy-19-maggio-1962Secondo i rapporti dei servizi segreti, “suggerisce” al fratello minore di “consolarla e farle dimenticare il Presidente”. Improvvisamente nella vita dell’attrice si affaccia il fratello minore di JFK, il senatore Robert – Bob – Kennedy. I due si innamorano, ma l’amore di lei sembra “malato”. Le sue crisi nervose si acuiscono e la gelosia nei confronti di Bob diventa sempre più esasperata. Le liti tra i due sono sempre furibonde. Ecco la “sparata” al compleanno di JFK dove, una traballante Marilyn, fasciata da un abito che non lasciava nulla alla fantasia, regala un ultimo volgare stonato “Happy Birthday Mr President” al festeggiato. Nella sera della morte di Marilyn, secondo le ricostruzioni, sembra che Bob Kennedy si fosse recato a parlare con lei, forse per dirle che anche lui, come il fratello, avesse intenzione di rompere la relazione. La reazione dell’attrice probabilmente fu terribile. Ed ecco di nuovo lacrime, le crisi isteriche, le urla e le minacce di rivelare ciò che sapeva sui due fratelli Kennedy.

Cosa sapeva Marilyn?

Si è uccisa o è stata “suicidata”? Forse all’origine c’è il rapporto sentimentale che la legava ai due fratelli Kennedy e a qualcosa che gli stessi le rivelarono: alcuni segreti di stato terribilmente scottanti e che i servizi vollero, con la sua morte, seppellire definitivamente? Nel tempo si è parlato di mafia, di festini a luci rosse, di una sua presunta gravidanza, il cui padre sarebbe stato uno dei Kennedy, conclusasi con un aborto, di una presunta omosessualità di Marilyn e ultimamente si è iniziato a parlare dell’interesse di JFK per gli UFO.

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È possibile che Marilyn, di temperamento esplosivo, avesse deciso di convocare la stampa e dire tutto? Forse Marilyn stava per rivelare cosa veniva custodito nell’Area 51? Come avrebbero reagito i media, di fronte a un testimone così in vista? Come insabbiare tutta la faccenda? Sarebbero allora intervenuti gli uomini dell’intelligence che, dopo aver allontanato il fratello del Presidente per evitare ogni complicazione, la “suicidarono”. Come? Beh, semplicemente tappandole la bocca. E lo hanno fatto, con dozzine di pasticche di barbiturici. E vi chiedo, cari lettori, riuscireste ad inghiottire una cinquantina di pillole senza bere un solo goccio d’acqua? Neanche Batman ci riuscirebbe. In fondo era la prassi, trattandosi di sicurezza nazionale. Poi allestirono lo “scenario” del suicidio con tanto di flaconi vuoti di pillole, dimenticando di porre una brocca o un bicchiere d’acqua. “Marilyn non riusciva a prendere neanche una piccola pillola per il mal di testa, senza un paio di bicchieri d’acqua”, afferma chi la conosceva bene.

Insomma, la tesi del suicidio non regge. La morte della Monroe sconvolse i due fratelli Kennedy, malgrado il “drastico intervento” da parte dei servizi segreti. Non a caso, poco dopo l’accaduto il Presidente John Kennedy affermò: “lo stesso ufficio del Presidente viene usato per sovvertire i diritti dei cittadini, ed è mio diritto renderlo noto”. Come noto era il braccio di ferro tra i Kennedy e i servizi segreti. E gli argomenti di “contrasto” erano gli UFO. I fatti sono incontestabili: in questa storia i tre protagonisti, alla fine, muoiono per morte violenta. Il 4 agosto 1962 Marilyn viene trovata morta accanto ad un tubetto vuoto di barbiturici, per gli inquirenti si tratta di suicidio. Il 22 novembre 1963 JFK viene ucciso a Dallas con tre colpi di fucile e il 6 giugno 1968 muore in un attentato a Los Angeles anche Robert – Bob – Kennedy, all’indomani della sua vittoria nelle elezioni primarie di California e Dakota del Sud.

Tutti e tre muoiono in modo iniquo. Coincidenza?

memorandum JFKLa diffusione online di parte di alcuni documenti TOP SECRET dell’FBI sta facendo scaturire tante ipotesi alternative a dati che, ormai, si ritenevano scontati, quali la causa dell’assassinio di JFK. Questi documenti, per la prima volta, collegano la figura di JFK e l’MJ12 ( “Majestic-12 o Majic12, talvolta scritto semplicemente MJ-12, MJ-XII, Majestic Trust, è il nome in codice di una ipotetica organizzazione segreta che sarebbe stata costituita nel 1947 per ordine del presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman. Questa ipotetica commissione formata da scienziati, militari, e dirigenti governativi di massimo livello che avrebbe un ruolo importante nelle diffuse “teorie del complotto” secondo cui i governi tengono nascoste informazioni sugli UFO”. Fonte Wiki.) e sopratutto testimonia la volontà di questo gruppo di impedire al Presidente di interferire con i loro affari. I documenti sono visibili e scaricabili dal sito www.majesticdocuments.com. Una lettera datata 12 novembre 1963, a firma di John F. Kennedy ed indirizzata all’allora Capo della CIA, con la quale JFK avrebbe richiesto di essere informato su documenti riservati in merito agli UFO. Bene, ecco servita su un un piatto d’argento una fresca, ghiotta, occasione in aiuto agli amanti del complotto: Kennedy, chiese informazioni alla CIA sugli UFO dieci giorni prima di morire. La stampa nazionale e internazionale su questo argomento ha versato un bel pò d’inchiostro…

Da “IlGiornale” http://www.ilgiornale.it/cultura/ufo_lassassinio_kennedy_spunta_pista_alieni/20-04-2011/articolo-id=518350-page=0-comments=1

Da “TGCOM24? http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/articoli/1006923/jfk-lettera-inedita-alla-cia.shtml

Dal “SECOLO XIX” http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2011/04/20/AOylA5N-interesse_ucciso_per.shtml

Questi, sono i “famosi” file desecretati dalla CIA e sono stati pubblicati sul quotidiano on-line DailyMail http://www.dailymail.co.uk/news/article-1378284/Secret-memo-shows-JFK-demanded-UFO-files-10-days-assassination.html

jfk2Il 1°) E’ una lettera scritta da John F. Kennedy al direttore della CIA dimostra che 10 giorni prima del suo assassinio, il presidente aveva chiesto di rendere pubblici i documenti riservati sugli UFO. Il memorandum segreto è uno dei due documenti scritti da JFK, che chiedeva informazioni sul paranormale il 12 novembre 1963. Questi documenti sono stati,anche, rilasciati dalla CIA e dati allo scrittore Lester William, sotto il “Freedom of Information Act”, mentre faceva ricerche per il suo libro “The Celebration of Freedom: JFK e la nuova frontiera”. Il “Freedom of Information Act” è un atto legislativo degli Stati Uniti, che garantisce la libertà di accesso ad informazioni governative; Ovviamente, in una certa misura. L’interesse del Presidente per gli UFO, poco prima della sua morte, mette benzina sul fuoco delle teorie cospirative sul suo omicidio. Molti ricercatori dicono che i documenti che sono stati rilasciati, parlano chiaro sulla possibilità che il presidente era stato assassinato per impedirgli di divulgare la verità sugli UFO. Il 2°) Nella seconda comunicazione, inviata all’amministratore della NASA, il presidente ha espresso il suo desiderio di ottenere collaborazione da parte dell’ex Unione Sovietica in attività spaziali. William Lester disse: “Una delle sue preoccupazioni era che molti di questi UFO venivano visti in Unione Sovietica come motivo di aggressione, ed era preoccupato che i sovietici potrebbero fraintendere la presenza degli UFO e ritenerla come motivo di sospetta invasione da pare degli Stati Uniti, credendo quindi che fosse la nostra tecnologia. Penso che questo sia uno dei motivi per cui JFK voleva mettere le mani su queste informazioni fuori dalla giurisdizione della NASA per poter dire ai sovietici: “Guardate, che non siamo noi, non stiamo facendo nulla, noi non vogliamo provocare nessuno”. Ma i teorici del complotto dicono che i documenti vennero resi pubblici solo per aumentare l’interesse per il file, soprannominato il “memo bruciato”che un sedicente investigatore UFO, Timothi Cooper dichiara di aver ricevuto nel 1990. Insieme al documento, Cooper, dichiara di aver ricevuto una nota anonima di una persona che ha lavorato per la CIA tra il 1960 e il 1974, e di aver salvato il memorandum dal fuoco, quando l’agenzia stava bruciando alcuni dei file più sensibili.

Tornando al contenuto di questo memorandum, dettato dal Direttore della Cia, identificato con la sigla MJ-1, vi è sopratutto una frase che evidenzia le intenzioni del MJ-12 nei confronti di JFK. http://majesticdocuments.com/pdf/burnedmemo-s1-pgs3-9.pdf

“…dovete sapere che LANCER ( nome in codice per JFK ) sta indagando sulle nostre attività e noi questo non lo possiamo permettere…”

jkf-ufo-fake1-294x380Considerato il livello di segretezza ed il calibro dei personaggi coinvolti, non è difficile credere che per motivi di politica interna ed estera JFK dovesse essere messo a tacere. Ci sono ancora un paio di considerazioni da fare: che JFK volesse mettere gli americani a conoscenza della questione “UFO”? Non è poi così sicuro. Sembra, infatti, che le preoccupazioni del “Governo Ombra” non fossero queste, ma l’intenzione del presidente di collaborare con i Russi per la realizzazione di un programma spaziale congiunto. E ancora, nel memorandum inedito fino agli anni ’90, si legge che Kennedy istruì il direttore della CIA, affinché si facesse chiarezza tra i “conosciuti” e gli “sconosciuti” in modo che i Russi non fraintendessero le notizie di eventuali “pseudo-avvistamenti UFO” come minacce da parte degli USA, ma sopratutto, che non credessero ad una richiesta di collaborazione nel tentativo di rubare i loro segreti. Kennedy, stravolgendo tutti i protocolli, voleva la collaborazione con la Russia e l’annullamento della “Guerra Fredda”? Gli avvistamenti “Ufo” e l’area 51 erano reali o “fake” studiati a tavolino? Cosa c’è di vero in tutto questo? Proviamo a risalire alla radice della presunta bufala di “JFK e gli UFO” scovando alcuni indizi che aprirebbero nuovi scenari in tema di UFO, complotti e cospirazioni. Ad un certo punto della storia i “documenti” che, sembra, “condannarono” a morte il Presidente degli States, improvvisamente, furono desecretati e resi pubblici. Fruibili da tutti. La prima incongruenza nasce dal presunto “scoop” del rinvenimento del memorandum di JFK. Chi e perché iniziò a parlare di scoop se tutti i incartamenti del caso erano “pubblici”? Sembrerebbe che l’autore dello “scoop” sia un certo William Lester, scrittore, il quale ha affermato che la CIA gli avrebbe rilasciato il documento in base al Freedom of Information Act (FOIA), dopo averne fatto precisa richiesta. Una richiesta alquanto strana, questa di Lester, per un carteggio che è palesemente disponibile, come prima osservato, da diversi anni. Ma chi è questo Lester? Di certo è uno scrittore appassionato di misteri, mitologia, paranormale e UFO e, guarda caso, il suo ultimo libro tratta delle connessioni tra l’amministrazione JFK e la questione UFO. Non solo. Lester è anche il fondatore e presidente dell’American Institute of Metaphysics, un sito che si occupa di scienze paranormali e metafisiche (un perfetto ossimoro), stracolmo di bufale ampiamente riconosciute, che offre anche diversi corsi a pagamento tra cui lezioni sulla “profezia Maya 2012″. Non c’è che dire, un ottimo curriculum degno del miglior cialtrone speculatore.

Ho effettuato una ricerca sul sito dell’FBI e della CIA (Sono siti pubblici e mettono a disposizione di tutti gli internauti la documentazione su vari casi; Ci vuol pazienza a tradurre i testi, ma alla fine si riesce a trovare il bandolo della matassa) nella relativa sezione FOIA, non risulta l’esistenza del sopra citato memorandum. Viceversa, la lettera risulta disponibile nell’archivio di un sito che non è proprio la massima aspirazione di attendibilità e autenticità: “The Majestic Documents” www.majesticdocuments.com

In questo sito, che raccoglie i documenti del fantomatico gruppo Majestic-12, vediamo spuntare a centro pagina il noto memo bollato con un “Authenticity Rating“, cioè con una valutazione di attendibilità, del 60-80%. Ebbene, se lo stesso “MajesticDocuments”, notoriamente apprezzato come “di parte”, non ne conferma la piena autenticità, qualche ulteriore sospetto sulla genuinità della lettera è lecito che nasca. Su questa faccenda si è scritto tutto e il contrario di tutto. Ma come sempre la verità giace nel mezzo. Quello che esce da questo pezzo, è il ritratto di un’America inaspettatamente (o con preavviso?) crudele dove la politica, l’arroganza, il successo ed il denaro dettano leggi spietate, dove la verità si può facilmente trasformare in Fake. JMMarilyn rimarrà sempre la bellissima diva svampita e immortale e JFK l’amato presidente democratico che per un attimo, e non solo, ci ha fatto puntare gli occhi al cielo in cerca di UFO. Forse per farci dimenticare le magagne nel suolo patrio.

Sta a voi, che leggete, trarre le conclusioni. A meno che un UFO, prima, non vi venga a prendere.

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UN SALUTO CARO

Vostra, Emilia Di Roccabruna

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Link:

° J. Garrison, JFK. Sulle tracce degli assassini – Sperling & Kupfer, Milano, 2003
° R. Dallek, JFK. John Fitzgerald Kennedy, una vita incompiuta – Mondadori, Milano, 2004
° P. J. Ray, J.E. Files, Interview with History: The JFK Assassination – Authorhouse, Bloomington, 2007
° P. Cortesi, John F. Kennedy. Chi lo ha ucciso? – Foschi, Forlì, 2008

“CONCORDIA-COMPLOTTI-COINCIDENZE”

“CONCORDIA-COMPLOTTI-COINCIDENZE”

di Emilia Di Roccabruna

La cosa più pietosa al mondo è l’incapacità della mente umana di mettere in relazione tutti i suoi contenuti. Le scienze, ciascuna della quali tende verso la propria direzione, sinora ci hanno danneggiato in misura esigua; un giorno, però, la riunificazione delle conoscenze frammentate ci aprirà visioni della realtà talmente terrificanti che la rivelazione ci renderà folli oppure fuggiremo dalla letale conoscenza per rifugiarci nella pace e nella sicurezza di una “nuova era” oscura. H.P.Lovecraft

Titanic-ConcordiaNumerologia occulta, simbologia rosacrociana, l’ombra satanista celata tra date e coincidenze fortuite. Una miscellanea di casualità proiettate sulla triste vicenda della nave da crociera Costa Concordia. E ancora: il potere invisibile di alcune banche, il governo “montiano” insidiato da pochi mesi e i progetti ignoti, atti alla costituzione “illuminata” di un Nuovo Ordine Mondiale.
Caos e Ordine. Buio e Luce. Vita e Morte.
Secondo i complottisti di casa nostra, ci sarebbe tutto questo, e altro, dietro l’affondamento della nave Costa Concordia. Un naufragio che richiama alla memoria il funesto inabissamento del Titanic. Le teorie del complotto cominciarono a diffondersi sul web già il giorno dopo la tragedia della “Concordia” per sottolineare le presunte “coincidenze inquietanti” dei due incidenti. Fantasie deliranti o realtà sapientemente occultate? Sincronicità inquietanti o occasionali coincidenze? Un giallo nel giallo. In questo articolo farò un riassunto di tutte le notizie, che ho trovato nel web e cercherò di dissipare le, solite, plumbee nebbioline che troppo spesso ci rendono ciechi.
A voi, miei cari lettori l’ardua sentenza.
Ma procediamo con ordine, analizzando gli elementi che ci vengono forniti dal mondo virtuale.

TITANIC: 14-4-1912 – CONCORDIA: 13-1-1012 – 99 anni e 9 mesi

666Coincidenza: “999”, se capovolto diventa “666”, numero della “Bestia” per antonomasia; tanto caro ai mondialisti luciferini che aspirano ad un Nuovo Ordine Mondiale (ordine che secondo loro si potrà compiere solo dopo l’innesco di un caos globale).Il sopracitato “numero del Diavolo”, appare in un solo passo del Nuovo Testamento e nell’Apocalisse di Giovanni. Il testo è riferito a una bestia che sale dal mare e devasta la terra, e cita così: « Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei.» (Apocalisse 13,16-18)                               

Il numero 666 si trova anche nel passo dell’Antico Testamento:
« Il re Salomone diede alla regina di Saba quanto essa desiderava e aveva domandato, oltre quanto le aveva dato con mano regale. Quindi essa tornò nel suo paese con i suoi servi. La quantità d’oro che affluiva nelle casse di Salomone ogni anno era di seicentosessantasei talenti, senza contare quanto ne proveniva dai trafficanti e dai commercianti, da tutti i re dell’Arabia e dai governatori del paese. Il re Salomone fece duecento scudi grandi d’oro battuto, per ciascuno dei quali adoperò seicento sicli d’oro, e trecento scudi piccoli d’oro battuto, per ciascuno dei quali adoperò tre mine d’oro, e il re li collocò nel palazzo della Foresta del Libano. »(1 Re 10,13:16)
Coincidenza: Forse dietro al numero 666 si cela il nome di un uomo? Io credo che, in quei tempi, il libro dell’Apocalisse sia stato scritto in ebraico, e questo mi induce a pensare che abitualmente si usasse tale lingua per comunicare. Quindi, avrebbero utilizzato la gematria (“La parola deriva dell’ebraico “(gīmatrīyā)”; presenta assonanza con il greco “γεωμετρία (geōmetría)” cioè “geometria”. Con lo stesso nome è a volte indicato lo studio numerologico delle parole in lingua greca contenute nel Nuovo Testamento”. FonteWikipedia) basata su lettere ebraiche per calcolare tale numero? Ma se pensiamo di risalire all’inventore di quel numero, non è più semplice pensare alla persona, il padrone, che “marchiava” gli schiavi con il suo nome; Forse l’associazione del “vero”male contro l’essere umano non sarebbe più semplice?
Per generazioni il numero 666 ha terrorizzato numerosi fedeli cristiano-cat260px-Lucifer_Liege_Luc_Viatourtolici come il numero di Satana-oppositore; il demonio. Ma quasi mai, vuoi per ignoranza, vuoi per soggiogare labili menti con paure ataviche o per non essere tacciati di eresia, si parlò di Lucifero come angelo di Luce, che, resosi indipendente da Dio, fu cacciato dal paradiso e relegato nel terribile buio degli inferi. In teoria non esisterebbe Dio senza Lucifero, il buio senza la luce e la morte senza la vita.
E ancora, c’è chi, con il 666, ne fa baluardo per le messe nere e chi, invece, celebra riti occulti in nome del Diavolo, Belzebù o in nome di un qualsiasi demone terrificante, ma solo a causa della propria ignoranza. Il 666 è il numero del Logos Solare, dell’Energia Maschile; ed è vero che esso, per accendere una Scintilla ha bisogno della Luna, l’Energia Femminile. Nel risultato dell’unione tra Sole e Luna, vi è la sapienza e l’accettazione della conoscenza. “ Non dividere ciò che è Uno, ma tramutare ed unire due elementi in Uno”. La creazione, intesa come gesto d’amore e non come gesto demoniaco… Per questo che la Genesi contiene la frase:”… e il sesto giorno Dio creò l’Uomo…”.
In alcune dottrine, tra cui la teosofia, la rappresentazione del sole e della la luna esprimono due archetipi che uniti simboleggiano l’armoniosa relazione tra gli elementi maschile e femminile. Non a caso, il simbolo di 69 venne estrapolato dal 666 e ha il significato dell’Energia Sessuale, intesa però come gesto di unione, ma che, lasciata sbrigliata, ci trascina nei più bassi Stati di Coscienza.

Platonici, ermetici, rosa-croce, cristiani, agnostici, alchimisti, massoni, membri di ordini cavallereschi e molti altri usavano la numerologia per celare messaggi criptici agli occhi di chi non “era degno” di importanti rivelazioni. Solo chi era “illuminato” sapeva riconoscere e comprendere tale simbologia. Alla fine della fiera, come dico sempre io, il numero 666 altro non è che il positivo incontro “alchemico” di ciò che ci diede la vita, sole e luna, la genesi perfetta tra uomo e donna. Ecco allora, che il numero 666 non è solo la negatività imputata a colui che da angelo portatore di Luce e detentore di sapienza, divenne essere incorporeo di natura maligna e come tale potenzialmente pericolosissimo. Coincidenza? Controsenso?
Caos e Ordine; Buio e Luce; Vita e Morte ritornano come i ritornello di una preghiera, di una filastrocca antica o di una formula magica. Ma proseguiamo l’analisi degli eventi…

IL 13 GENNAIO 2012 ERA DI VENERDÌ.

templari01“Venerdì 13” Il giorno del naufragio. Personalmente, ho sempre pensato che il 13 derivasse dalla scritta sulle lapidi dei Romani, in cui c’era “VIXI” (vissi, ho vissuto…). In sostanza VIXI anagrammato può essere XIIV (=13). Inoltre so che è una data considerata sfortunata da secoli perché, storicamente, nel giorno venerdì 13 ottobre 1307 furono arrestati tutti i cavalieri Templari. Agli inizi del XIV sec. i Templari erano diventati così potenti che ormai agivano per conto loro in tutti gli Stati, senza riconoscere autorità alcuna eccetto quella del Pontefice. Le immense ricchezze accumulate faceva di loro le personalità più ricche e potenti d’Europa, tanto che molti sovrani avevano ricorso a loro per prestiti finanziari (i Templari sono stati i precursori del moderno sistema bancario, con l’invenzione della “lettera di cambio”, antenata degli attuali assegni circolari). Fu appunto un monarca, il Re di Francia Filippo IV il Bello, che decise di porre fine al predominio dei Cavalieri del Tempio (ed al suo debito nei loro confronti che cresceva sempre di più) riuscendo a convincere l’allora papa Clemente V a tacciare l’Ordine di eresia e a farlo perseguire. Ordini segreti vennero inviati a tutti i mandati del Re sul territorio francese, con l’obbligo di apertura simultanea ad una data ben precisa. Fu così che il 13 Ottobre 1307, di primo mattino, per ordine del Re vennero arrestati simultaneamente tutti i Templari di Francia che vennero trovati nelle loro “Case”, tra i quali figurarono il Gran Maestro Jacques De Molay, il precettore di Normandia, Geoffrey de Charnay nonché l’ex tesoriere del regno di Francia. Il 13 Ottobre era un venerdì, e da allora il Venerdì 13 è diventato un giorno di sventura e disgrazia. Nella storia cattolica, si narra che venerdì 13 è legato alla morte di Gesù e alla presenza di tredici persone all’Ultima Cena. Invenzioni alla Dan Brown, realtà, superstizioni, scritti profetici o ancora semplici coincidenze?

LA CONCORDIA e IL 13

CONCORDIA: nome gentilizio latino Concordius e Concordia, basato su concordia, che significa per l’appunto “concordia”, “armonia”, “unione”, “pace”; Concordia era il nome di una divinità romana della pace e della concordia. Etimologicamente Concordia è derivato da cum, “con”, e cor, cordis, “cuore”, cioè “cuori assieme”. L’onomastico si festeggia il 13 agosto (coincidenza?) in ricordo di santa Concordia, nutrice di Ippolito di Roma, martire a Roma sotto Valeriano.(Wikipedia)Il nome Concordia fa riferimento all’unità e alla pace fra le nazioni europee. Il suo nome è il simbolo dell’armonia tra i popoli e omaggio all’Europa.
La Concordia; “Nave assolutamente innovativa. Una vera isola di vacanza che diventa una destinazione in più del viaggio in crociera, con tante novità per il massimo del divertimento, come il simulatore di gara di Gran Premio, per emozioni da campione; lo schermo cinematografico sul ponte piscine, che offre video, film e intrattenimento di giorno e di notte; nuovi locali come il Bar Sport Stoccolma e il Coffee and Chocolate Bar Helisnki. Ideale per navigare nel Mediterraneo tutto l’anno, grazie al magnifico ponte centrale, con piscine e idromassaggi, che si chiude con un tetto di cristallo semovente, per poter essere vissuto in qualsiasi stagione. La Samsara Spa, oltre 2.100mq di assoluto benessere con piscina per talassoterapia, terme, rock sauna… Dotazioni della nave: 1.430 cabine, di cui 55 all’interno dell’area benessere e 505 con balcone privato; 58 suite tutte con balcone privato, 12 all’interno dell’area benessere; 5 ristoranti, di cui uno, il Club Concordia, alla carta su prenotazione; 13 bar di cui un Cognac and Cigar Bar e un Coffee and Chocolate Bar; 3 piscine, di cui 2 con copertura semovente; 5 vasche idromassaggio e toboga; campo polisportivo; percorso jogging esterno; Samsara Spa; teatro su tre piani; Casinò e discoteca; internet point e biblioteca; simulatore di gara di Gran Premio; e lo schermo gigante sul ponte piscina”. (http://www.logitravel.it/crociere/scheda-costa-concordia-2410026.html)

 Per vedere gli interni della “Costa Concordia”, di SQUARCIOMOMO, cliccare QUI

concordia planes 2I suoi tredici ponti (i ponti della Concordia in realtà sono 17, ma solo 13 erano visitabili dai turisti) hanno i nomi di altrettanti stati europei (Olanda, Svezia, Belgio, Grecia, Italia, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo, Francia, Germania, Spagna, Austria e Polonia). L’elegante e lussuosa Costa Concordia rappresentava i picchi di perfezione raggiunti dal genere umano. Come il Titanic, doveva essere splendida e inaffondabile. Secondo un mio modesto parere, una nave che affonda potrebbe simboleggiare lo stato illusorio della nostra esistenza. L’ascesa al potere e la devastante decadenza che ci può colpire nell’attimo di un battito di ciglia. Ma nel caso della Costa Concordia, i paralleli con l’Unione Europea sono impressionanti. Come ho scritto, ai vari ponti della nave, corrispondevano i nomi di vari stati europei, ed è curioso il fatto che, quando l’Unione Europea si è incagliata negli scogli aguzzi di una devastante recessione, così è successo anche alla nave.
Coincidenza: proprio il 13 gennaio 2012 Standard & Poor’s ha tagliato il rating a mezza Europa, “affondando” i titoli di Stato di molti paesi Ue.
MontiPapaCoincidenza: il 14/01/2012 Mario Monti (membro di ordini mondialisti come il Bilderberg, la Trilaterale, l’Aspen) ha regalato a Papa Benedetto XVI un facsimile degli “Atlanti nautici” del 1500 di Francesco Ghisolfo. L’antico codice contiene carte nautiche con le rotte oceaniche verso il Nuovo Mondo. Il libro, ha detto il Papa con un sorriso, ha un valore “simbolico”.
Coincidenza: oggi 11 febbraio 2013 il Papa, ha lasciato il timone della sua Nave.
Così tanto splendore si trova adesso capovolto sulle coste dell’isola del Giglio, come fosse un promemoria di ciò che potrebbe accadere alla nostra società così ben ordinata. La Concordia affonda dopo essersi incagliata davanti all’isola del Giglio.
Coincidenza: il Giglio è uno dei simboli più noti utilizzati dall’ordine massonico dei Rosa Croce per rivendicare le proprie azioni delittuose.

UN MESSAGGIO CRIPTICO.

Insomma, il naufragio davanti all’isola del Giglio sarebbe un chiaro messaggio all’Italia e all’Europa da parte dei cospiratori per il Nuovo Ordine Mondiale: presto affonderete tutti. Se l’incidente del Concordia non avesse causato morti e non ci fossero persone tuttora disperse, ci sarebbe quasi da ridere. Come qualcuno sul web ha già iniziato a fare, prendendo in giro i complottisti e confutando punto per punto la loro “strana e inquietante” teoria. Speriamo che queste siano tutte coincidenze e non il codice con cui i mondialisti seguono le rotte verso il Nuovo Ordine Mondiale.

E’ possibile che quello della Costa Concordia non sia stato un semplice incidente. Potrebbe essere un segnale. Siamo tutti passeggeri di una splendida nave da crociera chiamata Vita. Il concetto non ci è molto chiaro ma non importa, ci vorremmo solo godere il viaggio. Abbiamo fiducia nei nostri leader, diamo per scontato che i cosiddetti “capitani” non facciano scontrare la nave contro gli scogli. Ma sembrano farlo quasi volutamente, molto spesso e regolarmente. Mi riferisco alle rappresaglie tra partiti per la “leadership”. Mille promesse fantasiose che lasciano infrangere per futili, biondi motivi. Poi ci mentono, dicendoci di tornare alle nostre cabine; che non c’è motivo per essere allarmati, che è solo un guasto elettrico e che verrà riparato a breve. Infine il Capitano abbandonerà la nave e ci lascerà soli con noi stessi.
Quale sarà la prossima “opera di distruzione” da parte degli Illuminati?
Con le crescenti tensioni in Iran e nelle zone del Medio Oriente, questo evento potrebbe essere il segnale del collasso economico e della fine della “CONCORDIA”…

costa concordia

Una cosa sola rimarrà incancellabile e senza ombra di mistero.
I morti, i dispersi e le famiglie con il loro dolore, che non rivedranno mai più i loro cari.
E in tutto ciò non c’entrano demoni o divinità. Solo il destino.

Emilia Di Roccabruna

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“IL VAMPIRO DI VENEZIA” Intervista a Matteo Borrini; Antropologo Forense

“IL VAMPIRO DI VENEZIA”

Emilia di Roccabruna – Prof. MatteoBorrini

La curiosità uccise il gatto…” fino a che…

Una domenica mattina d’inverno avvolta di soffice nebbia, l’odore salmastro della laguna veneziana, un’enigmatica scena del crimine. Una porta sul mondo accanto, un salto temporale di seicento anni, uno stargate tra storia e superstizione. Ecco gli elementi suggestivi che, virtualmente, ci portano, io, la fidata Berta e un affascinante giovane amico, come investigatori del mistero, a Venezia. Precisamente nella zona del camposanto di Lazzaretto Nuovo.

19e

L’isola del Lazzaretto Nuovo si trova all’ingresso della laguna veneziana, di fronte al litorale di S. Erasmo ed è raggiungibile dalle Fondamenta Nuove col vaporetto ACTV, linea 13 (fermata su richiesta). Attualmente l’isola è proprietà dello Stato, che nel corso degli ultimi vent’anni ne ha curato e promosso diverse campagne di scavi archeologici. Storicamente la sua posizione ha fatto sì che fosse un punto di riferimento nel sistema portuale di Venezia. L’isola è circondata da una ricca vegetazione spontanea. All’esterno della cinta muraria è presente un sentiero lungo il quale si può ammirare la vegetazione e il tipico paesaggio lagunare: il sentiero si inoltra in boschetti di allori, frassini, biancospino, pruni selvatici, limonium, salicornia e artemisia. Attualmente sull’isola sono rimaste le mura fortificate e all’interno delle mura vi è un grande prato molto curato dove si possono vedere le antiche strutture recentemente scavate, l’antica chiesetta di S. Bartolomeo e la casa del priore del lazzaretto. Ad incorniciare dolcemente i caseggiati, vi è anche uno splendido doppio filare di gelsi secolari.

13e

Tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo vennero edificati un piccolo ospizio e una chiesetta dedicata a S. Bartolomeo. Il Senato veneziano decide di espropriare l’isola ai monaci per destinarla alla realizzazione del Lazzaretto Nuovo, da cui il nome attuale dell’isola. Il primo lazzaretto, infatti, era situato sull’isola di S. Maria di Nazareth, ma a seguito di una terribile epidemia di peste, tale struttura non era sufficiente capiente per ospitare gli ammalati, e si decise di far costruire un nuovo ricovero. Mentre al lazzaretto vecchio erano destinate le persone già ammalate di peste, in quello nuovo vi restavano sia le persone che erano state esposte al rischio di contagio sia le merci e gli equipaggi delle navi mercantili in arrivo in laguna, sospettate di recare il terribile morbo. Al di fuori delle mura si trovava il cimitero che è stato oggetto di indagine archeologica. Da questa indagine, ci sono arrivate testimonianze della terribile epidemia di peste nera (chiamata anche Grande Morte o Morte Nera) che flagellò Venezia nel periodo 1575-1577, uccidendo circa un terzo della popolazione.

7e

15e (Photo Credit: © NGT) Si narra che sull’isola veneziana, in uno scavo archeologico condotto tra il 2006 e il 2008, l’antropologo forense Dott. Matteo Borrini che, gentilmente ci accompagna in questo viaggio virtuale nel mistero, come detto all’inizio dell’articolo, e il suo team trovarono in una fossa comune per le vittime della peste del XVI secolo, tra i tanti resti, uno scheletro molto particolare. Dalla sabbia soffice, disseppellirono un cranio umano con un mattone infilato in bocca, mentre il resto del corpo appariva intatto dalla cassa toracica in giù. Tale scoperta potrebbe aver fatto pensare ad un efferato omicidio. Invece no.

8e (Photo Credit: © NGT) Dallo strano tipo di sepoltura, sembrava si trattasse di un vampiro, o almeno di quello che all’epoca fosse ritenuto un vampiro. Ai vampiri, secondo la credenza popolare, veniva anche attribuita la responsabilità della diffusione della peste. Secondo gli studiosi, il fatto che nella mandibola fosse stato inserito un mattone fa pensare che fosse considerato un vampiro. Anzi, una vampira. Perché da un primo esame della struttura ossea e dalla morfologia dello scheletro si scoprì fosse stata una donna. Una donna-vampiro, non solo una metafora maschilista che, “spesso”, definisce il genere femminile come un oggetto creato per rubare energie agli uomini, ma rappresenta un mistero insoluto, anche alla luce di questi nuovi ritrovamenti archeologici.

Vampiri tra mito e realtà.

(Photo Credit: © NGT) Una miscellanea di leggende fumose e misteri irrisolti, fino al momento in cui Matteo Borrini, docente all’Università di Firenze e il suo team, i quali ovviamente non credono ai vampiri, riuscirono a trovare il bandolo dell’ingarbugliata matassa. Studiarono approfonditamente il cranio trovato nello scavo al Lazzaretto Novo e scoprirono di avere a che fare con un nachzehrer (vampiro masticatore), e quindi, all’epoca della sepoltura, c’era un solo modo per fermare questo vampiro: impedirgli di cibarsi. Infilarono, alla vittima ancora in vita o al suo cadavere, un mattone in bocca, con violenza, spaccando denti e mascelle, secondo un rituale consolidato.

Procediamo con ordine.

Il Professor Matteo Borrini, ci aiuterà a fugare ogni arcano di questa misteriosa e affascinante storia antica di seicento anni. Tutto inizia nel giorno del 7 marzo 2008.

D) Matteo, è passato un po’ di tempo dal rinvenimento. Perché hai pensato che lo scheletro fosse quello di un vampiro-donna?

R)”In base alle tracce che abbiamo ritrovato scavando i suoi resti. La presenza di un mattone posizionato intenzionalmente nella sua bocca erano compatibili con quanto noto circa un antico rituale di devampirizzazione”.

Nell’Europa del XVII secolo era diffusa la credenza che ci fosse uno stretto rapporto tra epidemie e vampiri, e in particolare tra pestilenza e un tipo di vampiro, il nachzehrer (il masticatore di sudario, o divoratore della notte), “apparso” per la prima volta in Polonia attorno al ‘300. All’origine delle grandi epidemie, che a intervalli di 10-15 anni l’una dall’altra hanno decimato la popolazione europea tra il 1300 e il 1600, c’erano eventi di portata biblica, come la piccola glaciazione (XIII secolo) e le carestie che l’hanno seguita. La conta dei morti è impressionante: la prima ondata di peste in Europa (passata alla storia come la peste nera) si portò via almeno 25 milioni di persone su di un totale di 100 milioni di persone. Verso la fine di quel tragico periodo, tra il 1630 e il 1631, nella sola Venezia, la città più cosmopolita del mondo, l’epidemia fece almeno 50.000 vittime su 150.000 abitanti. Morirono una persona su tre. I religiosi, i “magistrati di sanità”, i medici, la teriaca, le misure di quarantena e le “patenti di sanità”; nulla di tutto questo sembrava in grado di fermare il contagio. Perciò doveva essere opera del demonio e dei suoi strumenti, come il nachzehrer: ovvero il masticatore di sudari. Secondo le credenze popolari questi esseri non si nutrivano di sangue ma “vivevano” nelle loro tombe come veri vampiri”. (Photo Credit: © NGT)

Apprendo che, il Vampiro nelle leggende dei popoli è sempre stato descritto come una piaga, una malattia misteriosa che si espande come un morbo mortale. Il Vampiro è l’incarnazione del Male; E’ il Vento freddo che rapisce la vita nel sonno. E’ la morte orrenda che si ciba della linfa vitale dei vivi, della verginità di giovani fanciulle. Il risultato di queste leggende, nel tempo, diventa terrore puro, scaturito, anche, da superstizioni farcite di ignoranza, atte ad espandersi in una vera e propria psicosi collettiva. La leggenda dei vampiri è mutata con il passare degli anni, modificando i comportamenti e l’aspetto di questa magica creatura per meglio adattarlo alle necessità di coloro che vi credevano, e così il Vampiro dal cadavere non decomposto che massacrava le sue vittime è diventato l’eroe giovane e romantico che si nutre del sangue dell’amata mortale, non per farne sua vittima, ma per farla diventare la sua sposa per l’eterno. Da ciò che ci racconta Matteo, le cose non stanno proprio così. La storia dei vampiri rimarrebbe relegata nell’immaginario collettivo, e la realtà sarebbe molto più semplice di quello che crediamo.

E dunque…

D) Matteo, come si capiva che in una tomba c’era un Vampiro-Nachzehrer?

R) Alcune leggende parlano di un rumore “simile al grugnire di un maiale” che poteva essere sentito all’esterno del sepolcro e che veniva attribuito al masticare dei non-morti nella loro bara. In realtà traccia tangibile della presenza di un nachzehere era il rinvenimento, una volta riesumato il corpo, di apparentemente non decomposti, ma gonfi e con il ventre colmo di sangue fresco. Tutto questo faceva immediatamente pensare al non morto delle tradizioni slave e quindi scattava l’esorcismo anti vampiro. il segno del nachzerer, in aggiunta, era poi il sudario “masticato” e forato in corrispondenza della bocca. Questo ritrovamento è il primo che ci ha consentito di analizzare in toto le prove fisiche della leggenda dei vampiri e dei metodi per eliminarli, mostrando come essi fossero molto diffusi e dettati dalla “non conoscenza” dei processi di decomposizione dei cadaveri. Possiamo infatti immaginare lo spavento dei becchini che aprendo una tomba per seppellire il gran numero di morti causati dalla peste vedevano corpi gonfi e macchiati di presunto sangue fresco. Creature simili, nella mente di chi non conosceva nemmeno le ragioni di un’epidemia come quella della peste non potevano che essere demoni o vampiri”. Risponde Matteo …

D) Qual è la storia dei vampiri masticatori e il rituale per ucciderli?

R) “Secondo le testimonianze dell’epoca, e che si riferiscono anche alle conoscenze dei secoli precedenti, una prova di aver intercettato la sepoltura di un vampiro era il cadavere intatto e il sudario masticato e consunto a livello della sua bocca». A questo essere malefico gli studiosi medievali hanno dedicato diverse trattazioni “scientifiche”. Questo mito ha attirato l’attenzione di diversi studiosi. Uno dei primi fu Philuppus Rohr, che nel 1679 nella sua “Dissertatio historico-philosophica de masticatione mortuorum”, suggeriva che dietro questa immonda attività si nascondesse l’attività blasfema di un demone, Azazel, e presenta all’Università di Lipsia la sua ricerca, nella quale descrive alcune caratteristiche comportamentali di questi defunti: i nachzehrer. Termine che proviene dalle parole tedesche Nacht-Notte e Zehrer-Divoratore. I Nachzehrer erano soliti, nella loro tomba, masticare il velo funebre (il sudario), provocando un rumore simile a un grugnito, e come una larva crescevano e maturavano finché erano in grado di emergere come veri e propri vampiri, mentre l’immediata conseguenza della masticazione erano le epidemie. Quanto all’osservazione morfologica, altri “studi” avevano già appurato che il cadavere appare “intatto”, con gli arti flessibili, la pelle tesa e liscia, la barba e le unghie rinnovate. Altra fondamentale caratteristica che è alla base del termine vampiro (da oupiro, sanguisuga), era la presenza nel ventre rigonfio del cadavere di sangue liquido che fuoriusciva quando si trafiggeva il non-morto con una spada o con il più classico paletto, prova delle scorrerie ematofaghe del vampiro. Da qui la natura del rimedio: «Disseppellire il corpo del non-morto, togliergli dalla bocca il sudario che stava masticando e sostituirlo con una manciata di terra, con una pietra o con un mattone», spiega Matteo Borrini. Insieme all’associazione tra vampiri e peste, è questo rituale l’elemento più rilevante che collega la sepoltura ai nachzehrer.

4eSuccessivamente fu Michael Ranfitus, nel 1725, ad occuparsi dell’argomento. Scrisse“Masticatione Mortuorum in Tumulis”, e propose due teorie: prima una spiegazione razionale, suggerendo che i rumori tra le tombe e la diffusione della peste fossero da ascriversi alla febbrile attività dei ratti, quindi dava una supposizione sovrannaturale: L’esistenza di un’anima vegetativa che aleggiava intorno al morto, causando la crescita dei peli e delle unghie ed a volte in grado anche di danneggiare i vivi. Le testimonianze dell’epoca sono frutto di una scorretta interpretazione dei dati tanatologici, le conoscenze sulle modificazioni cadaveriche erano infatti limitate a un breve periodo successivo al decesso, che comporta il raffreddamento del corpo e la rigidità muscolare lasciando tutto sommato intatte le fattezze del deceduto. Gli stadi successivi erano invece occultati dalla sepoltura, che veniva generalmente riaperta dopo anni, consentendo un secondo contatto con il cadavere solo quando era divenuto scheletro. Ciò fece identificare il morto o in un corpo rigido e freddo o in un mucchio di ossa sbiancate”.

Di seguito troverete il testo originale fornitomi dal gentilissimo Francesco Canu: http://books.google.it/books?id=-8lGAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false

D)Praticamente: “Morto uguale a scheletro; non morto uguale a corpo in decomposizione”?

R) “Si; Quello che le cronache descrivono come non decomposto è in realtà una fase della decomposizione compatibile con lo stadio enfisematoso: durante questo periodo, che dura tre-quattro mesi, l’addome del cadavere si tende sotto la pressione dei gas putrefattivi e, se forato, lascia fuoriuscire liquami facilmente confondibili con “il pasto del vampiro”. Sempre a questo stadio, per effetto dell’epidermolisi la cute di mani e piedi si “scolla”, esponendo gli strati sottostanti e dando l’impressione che siano cresciute nuova pelle e nuove unghie. Anche l’idea che il nachzehrer stesse masticando il proprio sudario nasce da reali constatazioni, interpretate però senza le necessarie conoscenze medico-legali: i gas che fuoriescono dal cadavere possono infatti inumidire il tessuto, che sprofonda così nella bocca e qui deteriorarsi e bucarsi per l’azione dei liquidi corporei. Ecco dunque spiegato come e perché si afferma la figura del nachzehrer. Durante le crisi sanitarie era usuale riaprire sepolture recenti, per deporvi altre vittime della pandemia, facilitava l’incontro con corpi non totalmente decomposti che alimentavano il terrore e la superstizione della popolazione. Verosimilmente fu questo che accadde al Lazzaretto Nuovo: durante lo scavo per la deposizione di una nuova vittima della pestilenza, i necrofori intercettarono un corpo integro, almeno a loro modo di vedere, con il sudario consumato a livello della bocca. Così, individuato il nachzehrer forse responsabile dell’epidemia, lo neutralizzarono sostituendo il sudario con un mattone. Probabilmente durante i periodi di pestilenza era usuale riaprire le sepolture per deporvi altri cadaveri, anche a distanza di breve tempo. Quando ci si imbatteva in cadaveri non del tutto decomposti o addirittura integri, il terrore del contagio poteva far nascere figure mitiche come i vampiri. In realtà oggi sappiamo, grazie alle conoscenze di medicina legale e antropologia forense, che questi fenomeni, esattamente così come venivano descritti da medici ereligiosi, rappresentano quello che accade a un corpo in decomposizione. Il contatto con la morte all’epoca, sia per la gente comune ma anche per gli stessi medici, era limitato a due situazioni: o quella dei primi giorni dopo il decesso, quando il cadavere è perfettamente conservato. Oppure lo stadio finale quando rimangono solo le ossa. Tutto il processo di decomposizione era occultato dalla sepoltura, sconosciuto. Quando, in occasioni particolari, ci si trovava davanti a un corpo in decomposizione si pensava a fenomeni soprannaturali”.

D) Ci sono altre “donne-vampiro”?

R) “Non credo che quello veneziano sia l’unico caso ma è la prima volta che siamo riusciti a fare un percorso a 360° partendo dall’evidenza archeologica fino ad arrivare a spiegare la leggenda. Questo grazie all’applicazione di un metodo di lavoro scientifico e investigativo molto puntuale che è quello dell’antropologia e archeologia forense”.

Concludendo….

Una volta, le leggende sui vampiri mi facevano paura. Ricordo, quando ero una ragazzetta affamata di emozioni e attratta dal mistero, lessi “Dracula” di Bram Stoker, il libro sui vampiri per antonomasia. Quel romanzo mi emozionò e spaventò al punto che rimasi sveglia per diverse notti, col cuore in tumulto. Ero sicura che prima o poi qualcosa di furtivo e di spaventoso si sarebbe materializzato nel buio della mia stanza per abbeverarsi del mio sangue. Per molto tempo fui affascinata, e allo stesso tempo intimorita, dalla figura di Dracula. Il vampiro abbandonava per un breve lasso di tempo, rigorosamente dal tramonto all’alba, la sua dimora eterna e cacciava da solo, dal singolo individuo ad intere comunità. Il succhiatore di sangue e d’anima, e stato descritto dalla letteratura e cinematografia (nonché dall’immaginazione) dei nostri giorni ed è stato rappresentato come un predatore instancabile, forte, affascinante, massacratore di popoli, la sua malvagità lo aveva fatto tornare nella morte e la sua eccezionale perfidia muoveva il suo morto corpo per le terre in cerca di linfa vitale per mantenersi nella condizione ottenuta. Demone, fantasma, simbolo di terrore, perfetto araldo del Male. Non vivo, non morto, demone devastatore e uccisore di innocenti. Uomo lontano dagli uomini, lontano dai maledetti, solo con la sua sete e la sua malvagità perversa.

Dopo questa indagine, il Professor Borrini ci ha svelato una scomoda realtà.

I vampiri non sono mai esistiti.

I vampiri, uccisori di innocenti e profanatori di cadaveri sono stati i vivi. Le antiche leggende e le varie ricerche scientifiche d’epoca, ci hanno raccontato dello scempio commesso dai “presunti vampiri”, ma raramente si è parlato dell’atroce vandalismo commesso sul corpo del “dannato” di turno, da parte dei “sani”.

Ecco che i racconti di sevizie ai “mostri” si arricchiscono di crudi particolari. Paletti di frassino inseriti nel costato del vampiro all’altezza del cuore, come a simboleggiare la liberazione dell’anima; ecco l’impalazione della bocca della presunta donna-vampiro per impedirle di diffondere il terribile morbo della peste; ecco la descrizione di raccapriccianti decapitazioni e di incendi al resto del corpo.

L’essere umano ha sempre studiato la maniera per distruggere ciò conosceva e che gli faceva paura.

Credo che le nostre conoscenze siano troppo pragmatiche o comunque troppo superficiali, tanto da arrogarci il merito di salvare un’anima con l’uso indiscriminato di riti violenti e comunque da un mio punto di vista, ben lontani dal desiderio di ridare a questi “pseudo-mostri-dannati” la pace e la resurrezione. Alla fine della fiera, i mostri sono quelli che si accaniscono contro le donne, i bambini, gli indifesi…

Cari Lettori, con questa indagine, ma soprattutto con l’aiuto di Matteo Borrini, che ringrazio di cuore per avermi aiutato con materiale e foto, a svelare un affascinante mistero lungo seicento anni…

Spero vivamente di aver ricordato “la Donna di Venezia” come tale, e non come essere maledetto…

To be continued…

E.di ROCCABRUNA – M.BORRINI

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LINK & CREDITS

Dott. Matteo Borrini, PhD
Honorary member Commonwealth War Graves Commission –
Commonwealth-Italian Joint Committee
Director of the Forensic Science Department – UNISED International
University of Security Sciences and Social Defense
Professor of Forensic Anthropology – – UNISED International University of Security Sciences and Social Defense
Contract professor Papal Theological University “San Bonaventura”
Contract professor Post Graduate Specialization School of
Archeological Heritage, University of Florence

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PHOTO CREDIT BY: (Photo Credit: © NGT) Con gentile concessione del prof. Matteo Borrini.

http://www.acisf.it/accademia/comitato_scientifico_2.aspx

http://multipleverses.com/2010/02/19/national-geographic-channel-l-explorer-vampire-forensics-tue-223-at-10pm-etpt/

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“CINQUANTA SFUMATURE DI NIENTE”

Prima di iniziare a leggere quest’articolo, consiglierei alle gentili lettrici e ai gentili lettori, di armarsi di santa pazienza e di alcuni strumenti usati comunemente per il bricolage. Troverete tali articoli nella cassetta degli utensili da lavoro. Vi consiglio di recuperare: Una manciata di fascette stringi-tubi in plastica, qualche metro di corda di fibra naturale, un rotolone di nastro adesivo di carta.

La curiosità è femmina e devo ammettere che dopo aver sentito decantare la bellezza, l’intensità del libro di cui parlerò in seguito, mi sono dovuta immolare all’ultima moda del momento, alimentando la mia curiosità come benzina buttata sul fuoco. Alla fine della fiera, la curiosità uccise il gatto. Dopo aver visto nelle librerie, negli autogrill, nei supermercati, nelle edicole, montagne di libri dalla copertina di color grigio, mi sono decisa a prendere anche io il famoso “libro del peccato”. E sarò una dei tanti milioni di lettori che hanno buttato pochi euro per un libro pseudo porno. Un libro di spessore; Circa 580 pagine di impalpabile nulla.

Di cosa sto parlando? Di quel fenomeno global/culturale che si intitola “50 Sfumature di Grigio”, scritto dalla focosa massaia E.L. James. Primo di 3 volumi che dovrebbero raccontare una storia d’amore tra bondage, frustate e sadomasochismo. E’ un libro corposo uscito poco tempo fa, edito da Mondadori e inserito nella sua collana Omnibus. Sempre sponsorizzati da Mondadori, sono stati pubblicati “Cinquanta sfumature di Nero“ e “Cinquanta sfumature di Rosso”. Ma ritorniamo alla prima parte di questa colorata trilogia. Ecco in sintesi la trama del libro: Quando Anastasia Steele, Ana di soprannome, figura etereamente virginea, graziosa e ingenua studentessa americana di 21 anni, incontra Christian Grey, giovane imprenditore miliardario, si accorge di essere attratta irresistibilmente da quest’uomo bellissimo, ricchissimo e misterioso e di volerlo a tutti i costi. Incapace a sua volta di resisterle, anche lui deve ammettere di desiderarla, ma alle sue condizioni. Presto Anastasia scoprirà che Grey ha gusti erotici e pratiche sessuali decisamente singolari, ed è un uomo tormentato dai suoi demoni e consumato dal bisogno di controllo. Nello scoprire l’animo enigmatico di Grey, Anastasia conoscerà per la prima volta i suoi più oscuri desideri sessuali. (Non so perché visualizzo i due personaggi con il volto concupiscente della Fornero e di Mr. president Monti).

In due parole, CENERENTOLA DOCET

Lo stile, approssimativo, non si può definire quello di un best seller. Centinaia di pagine farcite di ovvietà e ripetizioni. Scarno, pieno zeppo di luoghi comuni che rendono poco godibile la lettura. Quasi incomprensibile la distinzione fra pensiero e parola parlata, elemento che mi ha più volte confusa e costretta ritornare a rileggere più volte le pagine appena lette. La trama fa acqua da tutte le parti, si basa su una concatenazione di eventi narrati in modo estremamente innaturale. Voi, sul serio, credete che un ultra miliardario, prendiamo a caso il Sig. Briatore, conceda interviste ad una ragazzetta che scrive in un giornaletto di paese? O che se doveste intervistare all’improvviso il suddetto miliardario non vi informereste come prima cosa su chi sia o quale sia il suo background?  Mi immagino il sopracitato Briatore, farsi una grassa risata e mandarmi caldamente a quel paese.

Ritornando al libro, il ritmo iniziale è vertiginoso, e la trama contorta si esaurisce sostanzialmente nella prima trentina di pagine o poco più. Il libro manca di un vero e proprio contenuto ed è scritto basandosi su un totale di quattro vocaboli “gemere-grugnito-erezione-fottere”. Il che, mi fa pensare che la fantasia dell’autrice sia pari a zero. Zero come il voto che si prende da me. Tutto il resto, come si suol dire, è noia. Non si può trovare consolazione nemmeno nelle descrizioni, sommarie e superficiali, degli approcci sessuali e l’esposizione di quel testo che dovrebbe stimolare l’erotismo di una persona. In pratica tutto il testo è degno di un tema di prima media. Un libro vuoto, come il nulla cosmico, ma pieno di contenuti appena abbozzati e male approfonditi. E’ un libro che abbassa lo spessore culturale del lettore e che mortifica la dignità delle donne. Ancora una volta, una storia simil Cenerentola, miete vittime dallo scarso valore neuronale. Ammetto che avevo acquistato il libro ispirata, anche, da una mia lontana cugina che mi ha parlato di master e pratiche strane, ma di bondage, sadomasochismo e affini, non ne sapevo proprio nulla. Ma perché in un certo momento della storia mi sono trovata a rovistare nella cassetta degli attrezzi ? Forse quegli oggetti che si usano nel bricolage, dopo la lettura del libro, dovevano regalarmi qualche brivido oscuro e invece mi è solamente venuto in mente che ho il lavandino della cucina che perde acqua e nulla di più. L’unica cosa di hard che ho visto per caso nella mia vita, sono quelle innocue, quasi rassicuranti, manette morbidose di pelo rosa che si vendono in quei cataloghi che si spacciano per osè.

Dostoevskij scriveva “L’idiota” per parlarci della Bellezza, Calvino descriveva le sue “Città Invisibili” per parlarci delle città (reali o immaginarie che siano) e dei nodi d’anima che si stabiliscono dentro queste… Ma questa casalinga disperata, pseudo scrittrice ha capito che il sesso piace un po’ a tutti; ha preso la storia di cenerentola, l’argomento bondage e sadomaso, li ha ben ben mischiati, li ha conditi con del peperoncino e alcune volgari allusioni, che di erotico hanno poco, e appoggiata da una “furba” casa editrice alle spalle, ha confezionato un bel pot-pourri, che di letterario non ha nulla, ma che le sta facendo fruttare milioni di dollari, nonostante le numerose bocciature da parte dei lettori.

Nel frattempo lasciamo che l’affaire “50 Sfumature di Niente”, lentamente si sgonfi e venga noiosamente depositato al posto della cassetta degli attrezzi da lavoro, magari nel lato più buio dei nostri polverosi garage.

 I veri scrittori sono altri. Sono quelli snobbati dagli editori e dalle grandi case editrici.

 Ma questa è un’altra triste storia… che prima o poi vi racconterò…

 

 

“ELEGANCE IS AN ATTITUDE”

Secondo il vocabolario questa parola deriva dal latino eligere “scegliere”, dà come aggettivo “Elegante”. La parola “Elegante” descrive una persona che ha insieme grazia e semplicità, cura e buon gusto, senza affettazione o eccessiva ricercatezza. Elegante è il singolo e non la moda cui egli si adegua. Parlando di moda, e di abbigliamento, si può dire che se l’abito è inadatto alla persona, per quanto conforme ai dettami della moda e disegnato dal miglior sarto del mondo, sarà sempre inelegante. Il principio è che ognuno deve adeguare gli abiti alla propria figura e personalità e non se stesso alla moda. L’eleganza è quella dote naturale che, chi non l’ha, non se la può dare.

 “ELEGANCE IS AN ATTITUDE”.

Nel periodo post-bellico, vi fu un tripudio di corsetti che strizzavano la vita, di crinoline che gonfiavano gonne a corolla, di occhi da cerbiatto delineati da eye-liner, guanti, fili di perle e tacchi a spillo. Infinite linee diverse modellarono il corpo della donna. Gli abiti rigorosi e accollati furono trasformati dalle varie case di moda in abiti di design innovativo e leggero. Dai colori scuri e tetri, si passò a colori cipriati e cangianti. Fastosità ed eleganza ricercata dal sapore antico, ma di foggia moderna, in contrapposizione allo stato di povertà portato da anni di guerra. Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Ava Gardner, Jackie Kennedy, Soraya imperatrice di Persia, Maria Pia di Savoia, Maria Callas, vestirono la moda italiana rendendo omaggio alla loro genuina bellezza.  Ma che cosa rimane di quei tempi sfarzosi, ora che stiamo un vivendo un momento di nuova e drammatica recessione? Come mischiare lo stile elegante con lo stile informale, trasformandolo in casual-chic?

In questi tempi incerti e dove spesso manca la possibilità per vestirsi griffati, come ci si può abbigliare in modo elegante senza scadere nel volgare, salvaguardando stile e portafoglio? Può esistere un codice di abbigliamento elegante e informale che ci faccia sentire “noi stessi”? La risposta a queste domande è soggettiva. E’ possibile combinare articoli di abbigliamento di tutti i giorni con accessori semplici e con tanta  fantasia, ma credo che alla fine sia tutta una questione di atteggiamento mentale verso ciò che ci circonda.  Che siano abiti, borse, scarpe, griffate o acquistate al mercatino, bisogna ricordare che sono solo ornamenti.

Ciò che conta è il modo in cui ci si mostra, la maniera in cui ci si muove, si parli e si sorrida.

E un sorriso spontaneo e solare è ricordato molto più facilmente di un paio di scarpe, di una borsa o di un abito. L’eleganza non dipende da quanto denaro si spende.  Anzi, è possibile essere elegante senza spendere follie, basta seguire poche regole di base della moda, e stare attenti a scegliere i vestiti che più si adattano la nostra personalità. Non dobbiamo mai confondere l’eleganza con il lusso o con l’essere snob.

Semplicità, buon gusto e cura di se stessi, sono i tre fondamenti dell’essere e non dell’apparire e questi non costano denaro. L’eleganza deve essere la giusta combinazione di distinzione, naturalezza, cura e semplicità. Al di fuori di queste semplici regole, non c’è eleganza. Solo la banale volgarità.

L’eleganza è un dono innato, come la bellezza o l’intelligenza.  L’eleganza è un atteggiamento, non è legata a pochi capi di vestiario o a costosi gioielli. Si può imparare a essere vestiti bene, ma non necessariamente s’impara a essere eleganti. Ci si muove in un certo modo, ci si siede in un certo modo. La persona che si veste semplicemente, è perfettamente a suo agio nell’abbigliamento che indossa, si muove con naturalezza, è sempre uguale a se stessa, non corre rischi d’imbarazzo né disagio. Tuttavia l’eleganza non deve essere soltanto una patina, una vernice, una maschera da indossare per apparire, ma una peculiarità dell’individuo. La donna elegante resta tale, anche se mangia il pesce con il coltello sbagliato, o se non indossa abiti e accessori ipergriffati.  Soprattutto se il suo modo di porsi e di comunicare con gli altri, è cordiale, garbata, educata, disponibile e generosa.  Perché la gentilezza non è un atteggiamento, ma è una forma dell’animo ben disposto, tollerante, indulgente, accattivante, discreto per se stesso, in una società, dove ormai sono obsoleti i valori della famiglia, quelli della lealtà, dell’amicizia e del rispetto.

La semplicità è eleganza. L’eleganza è la capacità di guadagnarsi da vivere con l’essere se stessi. E’ la libertà di respingere l’abitudine di “tirare avanti”. La vera eleganza è il rifiuto della moda e dei modelli, positivi o negativi, imposti da stereotipi temporanei e forzati del lusso.  Il lusso è la libertà.

Alla fine della fiera, la cosa più elegante di tutto è essere semplicemente se stessi. Che sia arrivato il momento di allungare le minigonne ascellari e coprire le scollature generose? Che sia arrivato il momento per riscoprire la semplicità di tutti quei valori umani, che ci valorizzavano e ci distinguevano dagli animali? Che sia arrivato il momento di regalare qualche saluto in più e di nascondere, in qualche baule polveroso o in qualche tasca, quella volgarità che ultimamente contraddistingue noi stessi e la nostra società moderna?

A chi legge l’ardua sentenza.

Forza e onore.

Con affetto, vostra  Emilia Di Roccabruna.

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“COLORI E CUORE”

Quanti sono i colori che ci circondano e quante sono le sfumature che derivano da essi?

La natura, in ogni momento, ce ne regala a migliaia e sono tutti meravigliosi. Il rosso placido e morbido dei tramonti. Rosso è il simbolo del sangue, della sensualità, della fiamma calda che illumina lo spirito e che riscalda il corpo. Il bianco candido della neve; il niveo abito di una sposa; il bianco, la pagina vergine sulla quale si può ancora scrivere.  L’indaco tenue e timido dell’alba, miscuglio magico dell’azzurro e del viola, è simbolo di spiritualità e di risveglio interiore. In alcuni testi di esoterismo, l’indaco, agisce sui sensi aumentando il tono dell’umore, in caso di malinconia e fa sì che ci si elevi spiritualmente per guardare con occhio critico la realtà che ci circonda. Il blu del mare profondo, delle pietre turchesi e delle immensità del cielo. Il blu non rappresenta soltanto gli elementi naturali, ma raffigura anche il colore dell’anima e la lealtà nei sentimenti. Ricordo, inoltre, il giallo del sole d’estate, dell’elegante ginestra e della mimosa. Il grigio fumoso delle giornate plumbee e nebbiose d’autunno. L’arancio del melone e delle pesche mature.

Numerosi colori fanno da tavolozza al nostro vivere quotidiano e ogni colore ha un fascino misterioso, un significato psicologico e fisiologico. Questo significato è universale ed è lo stesso in tutto il mondo, sia per i bambini, sia per gli adulti; per gli uomini e donne, della nostra, o di altra cultura. Ognuno di noi predilige un particolare colore che rispecchia un nostro determinato stato d’animo esprimendo, così, ciò che siamo intimamente. Noi siamo colori ed emozioni. Ogni sorriso è un colore; la gioia, l’amore hanno migliaia di gradazioni e svariate consistenze. Ci siamo mai chiesti, dunque, quali e quante tonalità ha il dolore? Io me lo sono chiesta molte volte. Quando iniziavo a trovare una risposta, credendo di essere arrivata a una soluzione sicura, ecco che le mie certezze vacillavano.

Per anni, e anche adesso qualche volta, mi sono vestita di nero.  Colore elegante, mai sfacciato, sobrio, che ben si addice a una donna della mia età.  Il nero è stato la mia ribellione ai colori e rappresentava il limite assoluto oltre il quale c’era il nulla. Era il “no”, in opposizione al “sì” del colore bianco. Il nero simboleggiava la mia negazione, descrivendo la rinuncia, l’abbandono che, per anni, mi ha fortemente influenzata nella scelta di altri colori. Il nero, da me vissuto, era la locandina di me stessa, quasi come uno stato di lutto perenne. Poi, in un giorno d’inverno, un uomo mi insegnò i colori.

Una pennellata di rosso, una borsa verde, un paio di orecchini di corallo con perle bianche, mi hanno riportata a contatto con me stessa e con il nero che avevo dentro. Iniziai, così, ad elaborare il mio lutto e il mio dolore e  iniziai a misurarlo. Quante volte mi son chiesta come si misura il dolore. Forse con l’alternarsi, adultero, del giorno e della notte. Forse con l’incalzare dei giorni tristi, che annegando nei mesi, scompaiono, senza traccia, nel tempo. Il dolore si può misurare con la forma arcuata delle braccia vuote, con il segno concavo che forma il ventre isterilito fin quando, in un attimo, ti accorgi che il tutto è cambiato. Forme, colori, visi che amavi, silenzi e cuori scevri da sentimenti. Tutto diventa scuro e pesante. Quel dolore, malgrado tutto, lo ritrovi, dove lo lasciasti l’ultima volta, in quell’angolo buio che dà forma e peso alla propria anima.

Così trascorrono i secondi, i minuti e le ore. Perdute, come vecchie foto polaroid dai colori sbiaditi, dentro qualche cantina buia o nel fondo polveroso di un vecchio baule.

Alcune volte, il dolore, si misura con la “Tua” assenza e non esiste misura che possa colmare il vuoto, da “Te” lasciato entro queste mura. Nel tempo, ho cambiato il nero con i colori scoprendo che il dolore si misura, anche, con l’Amore.

L’Amore è l’unico atto che ci riporta a noi stessi, per cui tutte le gradazioni di nero, si trasformano in un arcobaleno. Soltanto amando ed essendo amati ci porta a vedere il mondo a colori, perché la vita è un battito di ciglia … e dopo saremo morti troppo a lungo.

Ecco… In punta di piedi e con un leggero tratto di penna, vi ho lasciato un pezzo di cuore e le mie emozioni. Fatene ciò che volete. Ma ricordate, è tutto quello che mi rimane. Da qui all’eterno.

Con affetto, vostra sempre, Emilia.

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La prima immagine dell’articolo si intitola ” COMODORO RIVADAVIA”, gentilmente concessa da Ninni Raimondi.

L’ultima foto “IN PUNTA DI PIEDI” è di Natalia Drepina, Deviantart.

Il resto delle immagini sono state reperite via Google Immagini.

Ringrazio gli autori.

“AD MEMORIAM”

Lady Diana Spencer

31 agosto 1997

“POESIA INVECE DI UNA LETTERA”

Afferrando il nulla in un turbine di foglie
qui in questo paese dalla faccia di fumo, in rovina,
ti penso al di là del continente,
che metti alla prova il sorriso maturato in catastrofe
e splendidamente pronta adesso per la morte.

La promessa frusta del nostro lascito
è abitudine adesso; quell’altro anno s’è fatto inverno
mentre contemplavamo i frammenti di un mondo
che cadeva sfatto come un bouquet malato,
mancandone l’odore, anche se il nome dato al tempo
fu sufficiente. Conosciamo quell’odore adesso,
credo, bene fin dove è sicuro conoscerlo.
E persino mentre sono sulle scale augurandoti fortuna,
riempie i portici e le strade, mentre questo vento rancido
soffia per le tue stanze sfitte.

Che venti più rancidi possano soffiare non si può dire,
né indovinare. Quello di stasera soffia nella testa,
e ogni sillaba è falsa, secca.
Buonanotte, buonanotte. Agli sconosciuti, a una strada vuota.

Weldon Kees

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Il 18 luglio 1955, Weldon Kees (nato nel 1914),  poeta, narratore, pittore, critico d’arte, jazzista, compositore e autore di testi musicali,  fotografo, saggista e conduttore radiofonico, parcheggiò la sua Plymouth Savoy non distante dall’imboccatura nord del Golden Gate Bridge a San Francisco. Lasciò le chiavi in macchina e scomparve per sempre.

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I poeti sono cani randagi, sono pezzi di stella che hanno la forza di brillare ancora. Vivi nel cuore di chi li ama. Sempre.

Al mio poeta, a mio marito, al mio tutto.

TI AMO, ovunque le tue ali volino stanotte.

“GOCCE D’ACQUA, MOTORI E RICORDI”

GOCCE D’ACQUA, MOTORI E RICORDI.

“A  Ninni …”

Figoni e Falaschi 1938 Delahaye 135 MS Coupé

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“La storia”

A metà degli anni trenta i carrozzieri francesi come Figoni e Falaschi, Saoutchik, Guilloré, Chapron, Pourtout e Franay rivoluzionarono lo stile delle automobili di lusso. Erano affascinati dalle teorie aerodinamiche; si deliziavano con colori brillanti e sfavillanti cromature e apparentemente disprezzavano le linee tese. Il momento più luminoso e saliente di questa epopea dei carrozzieri francesi è stata l’introduzione della linea aerodinamica “goutte d’eau” (a goccia d’acqua) da parte di Figoni et Falaschi, che disegnarono carrozzerie coupé e cabriolet per telai Delahaye tipo 135 e 165 V-12 così come per telai Talbot-Lago T150 SS. Figoni et Falaschi furono i più “flamboyant” e fantasiosi carrozzieri degli anni trenta. Giuseppe (Joseph) Figoni aprì la sua carrozzeria nel 1921 a Parigi e acquistò fama, nei suoi primi anni,  carrozzando vetture Bugatti, Alfa Romeo, Lancia e altre marche sportive. Nel 1935 entrò in società Ovidio Falaschi, che aveva sia capitale sia esperienza negli affari.

Dal 1936 al 1951, circa, lo stand di Figoni et Falaschi al Salone dell’Auto di Parigi era imperativamente da visitare. Sebbene le “goutte d’eau” siano state costruite, relativamente, in pochi esemplari, erano talmente eleganti  nell’abbinamento dei colori, e nel design dalle linee tondeggianti e morbide  da farle diventare, immediatamente, delle icone così come lo sono ancora oggi.

“La 135”

La 135 è, senza alcun dubbio, la più famosa tra le Delahaye, quella che nello stesso tempo fece raggiungere alla Casa madre sia l’apice della fama per le sue vetture lussuose, sia i vertici per i numerosi successi agonistici riportati proprio da tale modello.
Fu, anche, il modello più longevo in quanto venne prodotto fino alla chiusura della casa francese,  avvenuta nel 1954. La Type 135 fu introdotta nel 1935 come sostituta della Type 138, della quale riprende il propulsore da 3.2 litri. Nonostante le dimensioni non fossero abbondanti, la 135 adottava soluzioni tipiche di un’auto di lusso come, ad esempio,  l’importante motore da 3.2 litri, passato poi a 3.6 e la sua dotazione sfarzosamente lussuosa. Le prime Delahaye 135 montavano, infatti, un motore a 6 cilindri da 3227 cm³, lo stesso già montato a suo tempo sulla Type 138, ma opportunamente rivisto in modo tale da arrivare ad erogare una potenza massima di 95 CV a 3600 giri/min.
Nello stesso anno del lancio della 135, la Delahaye rilevò la Delage che, forte di una consolidata reputazione nel campo delle competizioni, offrì alla Delahaye stessa l’opportunità di ritentare l’avventura sportiva e fu così che, nel 1935, la Delahaye riuscì ad introdurre una versione roadster, denominata 135 Coupe des Alpes  più leggera e scattante. Nel 1936, ricevette un nuovo propulsore da 3557cm³ disponibile in due modelli con potenza massima di 100 e 120 CV, rispettivamente a 4000 e a 4200 giri/min; la distribuzione era a valvole in testa, con aste e bilancieri.
I successi sportivi non tardarono ad arrivare e divennero, entro breve, numerosi. Tra i più significativi vi furono il Gran Premio di Francia del 1936, il Rally di Montecarlo del 1937 e la 24 ore di Le Mans del 1938. Nel 1938 venne introdotta la seconda serie, denominata 135 M, dove la lettera M sta per modificata. La miglioria, più significativa, stava sotto il cofano: le versioni di punta vennero dotate di tre carburatori  al posto di uno, il tutto  a vantaggio della potenza  in modo da avere una base meccanica allestita per le competizioni. Il motore era lo stesso 3.6 litri della serie precedente, ma in quattro livelli di potenza: 90, 105, 110 e 135 CV. Ovviamente, la 135 riscosse un enorme successo, anche al di fuori delle competizioni.  Il 1938 vide l’introduzione di una versione più spinta denominata 135 MS, nella quale il già noto 3.6 litri arrivava ad erogare 145 CV di potenza.

Superata, non senza difficoltà, la seconda guerra mondiale la Delahaye, a corto di risorse, dovette commercializzare nuovamente la 135 in attesa di risanarsi economicamente, ma non vi riuscì e la Casa si ritrovò in pessime condizioni economiche. Nel 1951 tutte le 135, ad eccezione della 135MS, vennero tolte dalla produzione a favore della 235, una vettura aerodinamica derivata strettamente dalla 135, ma più al passo con i tempi e con lo stile. Nello stesso anno, la Delahaye vinse l’ultimo Rally di Montecarlo, ma le glorie sportive non bastarono più ad assicurare una clientela, peraltro poco propensa a spese folli,  poiché molto provata dal conflitto. Nel 1954 la Delahaye chiuse definitivamente i battenti, e con essa cessò la produzione delle vetture che la resero famosa.

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“Delahaye 135 MS Coupé”

L’Auto, in foto, ha il telaio n. 60112 e in una recente asta , ha sfiorato il valore di un milione di euro.
Questa particolare carrozzeria di Figoni fu costruita sul “Tipo” 135 Delahaye, un modello presentato al Salone di Parigi del 1935 ed accolto entusiasticamente. Era una vettura molto piacevole da guidare grazie allo sterzo leggero, alle sospensioni anteriori a ruote indipendenti, al cambio elettro-magnetico Cotal con pre-selettore e ai freni Bendix da 14″. Il suo cuore era un motore 6 cilindri di 3,5 litri, con tre carburatori a testa emisferica, ben bilanciato, che erogava 160 cv nella più sportiva configurazione MS,  che portava  la vettura ad oltre 190 km/h.

La Delahaye 135 MS “goutte d’eau” coupé, telaio 60112, da cui prese il nome,  fu costruita per il Salone di Parigi del 1938, e proviene dalla nota collezione del defunto John O’Quinn, che l’acquistò nel 2006.
Joseph Figoni, curatore dell’archivio di famiglia,  ha supervisionato il restauro integrale (partendo dalle lamiere nude), ultimato poi dall’esperto francese Dominique Tessier, specialista dell’Atelier Automobiles Anciennes. Tessier lavorò a stretto contatto con Figoni, eseguendo  il restauro sulla base dei suoi ricordi e sulle informazioni custodite nel suo archivio. Grazie a ciò Tessier poté stabilire che il telaio 60112 era stato originariamente in colore avorio chiaro (i limiti delle vernici dell’epoca non avrebbero potuto permettere di avere una vettura bianca al 100%) che, secondo Figoni, era accoppiato ad un interno in pelle rosso scuro. Una copia, di una foto, presente nell’archivio mostra la vettura con grandi fari di profondità integrati, fanali di posizione nei parafanghi e un sottile paraurti a V. Particolarmente interessante è la griglia che, secondo Figoni, era verniciata nei colori blu, bianco e rosso della bandiera francese. Giuseppe (Joseph) Figoni, un italiano emigrato in Francia, anni prima, aveva deciso di mostrare il suo amore per la patria adottiva, la Francia, soprattutto in considerazione dei tumultuosi eventi che stavano portando alla Seconda Guerra Mondiale.

 

Probabilmente la 60112 era stata nascosta, alle forze di occupazione, durante la Seconda Guerra Mondiale e sembra sia stata ritrovata nel 1964, occultata dietro ad una catasta di canne a La Seyne sur Mer, pochi chilometri dal porto mediterraneo di Tolone nel sud della Francia. Era provvista ancora di una vecchia targa del Dipartimento delle Alpi Marittime, 308 M6. Secondo lo storico Andre Vaucourt, il ritrovamento avvenne dopo un’ostinata ricerca durata 21 anni. Colui il quale la ritrovò, Antoine Rafaelli, riuscì ad acquistarla dalla signora Michele Gautier nel 1985.

Rafaelli la reimmatricolò con targa 3506 VJ 06 e la affidò ai fratelli Conforti di Nizza per un restauro che fu eseguito fra il 1986 e il 1987. Il restauro del coupé durò quasi due anni e venne eseguito, con la massima cura, da esperti della casa produttrice con grande attenzione per i dettagli. La vettura venne privata completamente del lamierato,  prima di iniziarne il restauro di carrozzeria, telaio, motore, trasmissione e interni. In pratica il restauro, coprì ogni dado e bullone.

Tale restauro, nella parte meccanica, nella carrozzeria e nella tappezzeria, ha riportato agli antichi fasti il coupé.  

Ecco un pezzo di storia degli anni trenta, dalla forma  tondeggiante di  una goccia d’acqua, dai tratti eleganti e dai colori sabbiosi,  può rivivere  in questi tempi di frenesia , facendoci ancora sognare per qualche attimo: Quello della lettura di questo brano.

 

Emilia Di Roccabruna

 

 

“TITANIC 100” Prima Parte

“TITANIC 15 Aprile 1912- 15 Aprile 2012”

Sono passati “cento” anni, e ancora se ne parla. Erano le 2:20 del 15 aprile quando la più bella, la più lussuosa nave da crociera, vanto dell’ingegneria navale inglese, considerata ‘inaffondabile’ si inabissò dopo il tremendo impatto con in iceberg, nelle acque dell’Oceano Atlantico, al largo delle coste canadesi, 400 miglia a sudest della costa di Cape Race (isola di Newfoundland, Canada),  a sud di Terranova. È un secolo che è là sotto, a 12.500 piedi di profondità, che equivalgono a circa 3800 metri. Ma ci è voluto un bel pezzo di quel secolo, e di storia della tecnologia, prima di capire dove si era inabissato, e come fare per poterlo vedere, e forse un giorno riportare alla luce.  

Nel 1985  il grande “signore dei mari”, addormentato nel fango del fondale marino, viene risvegliato dal un giovane Robert  Ballard, e dall’equìpe di oceanografi francesi ed americani. L’esplorazione che seguì consentì uno studio approfondito dello scafo: le sostanze organiche come i cibi e i corpi furono eliminate dagli organismi marini, mentre le ossa furono dissolte dal lungo tempo in permanenza nell’acqua salata. Un’altra spedizione più commerciale che scientifica, consentì di riportare in superficie diversi pezzi tra cui porcellane, attrezzature della nave e gli effetti personali dei passeggeri come i loro capi di abbigliamento o altro, rimasto intatto per più di 80 anni sul fondale marino. 

Con questo post, voglio ricordare tutte le persone che nella notte tra il 14 e il 15 Aprile 1912 persero la vita nelle gelide acque dell’oceano Atlantico. Inoltre, vi voglio portare con me in questo viaggio suggestivo e commovente,lungo 100 anni. Un viaggio fatto di ricordi intensi e ricchi di fascino.

 *CARATTERISTICHE  TECNICHE DEL  “TITANIC”

 CARATTERISTICHE
Messa in Cantiere: 31 Marzo, 1909
Varata: 31 Maggio, 1911
Viaggio Inaugurale: 10 Aprile, 1912
Lunghezza: 269.07 metri.
Stazza lorda: 46.328 tonnellate.
Stazza netta: 21.831 tonnellate.
Capacità totale: 3547 passeggeri ed equipaggio, a pieno carico.
Ponti: 9 in tutto (contando l'”orlop” ponte) i ponti della nave,
   A,B,C,D,E,F,G e sotto G la sala caldaie. 346.99.168
Travi: 28 metri.
Altezza: 18,392 m dalla linea di galleggiamento al ponte scialuppe,
53,2 m dalla chiglia alla cima dei fumaioli.
Draft: 18,088 m.
Motori: 2 a 4 cilindri ognuno, tripla espansione, azione diretta,
motori invertiti: 30,000hp 77 rpm. 1 turbina Parsons a bassa pressione: 16.000hp 165rpm.
Eliche: 3; Turbina centrale (4 pale): 6,3m ; Laterali (3 pale): 6,3m
Caldaie: 29 (24 doppie e 5 singole).
Fornace: 159 provvedevano al totale riscaldamento della superficie di 43.819,168 mq.
Pressione vapore: 215 P.S.I.
Compartimenti stagni: 16, estesi fino al ponte F.
Le catene dell’ancora del Titanic erano enormi. Ogni anello pesava 175 pounds.
Argani scialuppe: 14 doppia azione di Welin e Murrays con ingranaggio di sgancio.
Scialuppe di salvataggio: 20 in totale come segue:
   14 scialuppe in legno con una capacità di 65 persone ognuna.
   2 in legno con una capacità di 40 persone ognuna.
   4 scialuppe pieghevoli Englehardt con una capacità di 47 persone ognuna.
Capacità totale delle scialuppe: 1,178 persone.
Sistemi galleggianti per persone: 3560 giubbetti salvagenti e 49 salvagenti.
Carburante necessario: 825 tonnellate di carbone al giorno.
Consumo d’acqua: 63.603,4 l di acqua fresca al giorno.
Velocità massima: 23 nodi.

 

 

 

 

 

 

Dalla linea di galleggiamento in su il Titanic si imponeva su tutti gli edifici dell’epoca. Su di esso erano posti tre fumaioli a quali ne fu aggiunto un quarto che aveva la sola funzione di convogliare i fumi delle cucine e delle cambuse, ma soprattutto doveva dare un’immagine di mastodontica potenza. Era la più grande macchina semovente mai costruita. Le grandiosi dimensioni e la complessità della nave emergono da un aneddoto del secondo ufficiale Lightoller, infatti sul lato di dritta a poppa via c’era la porta di un passaggio grande tanto da poterci passare con un carro trainato da un cavallo, ma tre ufficiali nel corso dei preparativi impiegarono una giornata per riuscire a capire come fare ad arrivarci.  Il piroscafo fu progettato per essere la miglior rappresentazione delle moderne tecnologie in fatto di sicurezza. Aveva una doppia carena realizzata con lastre d’acciaio di 2,5 cm di spessore e un sistema di 16 compartimenti stagni, sigillati da pesanti porte che potevano essere chiuse in 25 secondi tramite un interruttore situato sul ponte di comando o addirittura automaticamente tramite sensori elettrici che potevano individuare la presenza di acqua in sentina.

In realtà la nave venne studiata in modo che andando a sbattere frontalmente con un ostacolo con le macchine a tutta forza non sarebbe affondata neanche se con 4 compartimenti allagati. Lo stesso progetto era stato applicato 50 anni prima sul Great Eastern, ma l’intero progetto prevedeva un’altra serie di paratie (pareti stagne) da inserire longitudinalmente per dividere la carena da poppa a prua fino altezza del soffitto del ponte, ma questo avrebbe reso difficili le operazione di movimento a bordo. Da tutte queste caratteristiche la stampa ne dedusse che si poteva parlare di una nave “inaffondabile”, qualità assolutamente presunta che non fu mai rivendicata ne dai cantieri Harland & Wolff e tantomeno dalla White Star Line, tanto che le compagnie di assicurazioni abbassarono le tariffe a copertura del rischio di affondamento.

*LA STORIA

La storia del Titanic iniziò nel 1907, quando fu decisa la realizzazione di tre grandi e lussuose navi gemelle, l’Olympic, il Titanic e il Gigantic (a quest’ultimo, dopo la catastrofe del Titanic, venne cambiato il nome in Britannic). I lavori di costruzione iniziarono verso la fine del 1908 nel più grande cantiere navale di Belfast, Harland & Wolff. In circa due anni, nel maggio 1911, il Titanic fu varato e dopo dieci mesi completato: un tempo di costruzione record per l’epoca.
Come noto, il Titanic lasciò l’Europa alla volta di New York l’11 aprile 1912 e affondò solo pochi giorni dopo, il 14 aprile, dopo aver urtato un iceberg.
Oggi la dinamica dell’affondamento appare chiara anche se non sono mancate ipotesi di ogni genere, comprese quelle più fantasiose. La nave “più sicura del mondo”, in realtà, non aveva sufficienti scialuppe di salvataggio, non aveva adeguati compartimenti stagni e il personale non era addestrato per gestire l’emergenza. Mancava, perfino, un sistema di altoparlanti interni e segnalazioni d’allarme per avvisare i passeggeri in caso di pericolo. Oggi sembra inaudito, ma all’epoca, era sufficiente che una nave avesse scialuppe di salvataggio solo per un terzo dei passeggeri. Nel Titanic, inoltre, molte scialuppe non furono inserite perché “avrebbero rovinato l’aspetto” della nave, visto che i costruttori e gli armatori erano convinti che non sarebbero mai servite.
Il Titanic, infatti, era considerato uno dei risultati eccellenti del positivismo tecnico di matrice ottocentesca: era esageratamente grande, lussuoso, c’erano saloni arredati imitando antiche dimore patrizie, colonne dorate, pannelli in legno pregiato e inserti di madreperla. Non mancava una piscina coperta, la palestra, il bagno turco, saloni di svago, bar, salotti… ovviamente solo per i passeggeri di prima classe.
Con a bordo molti emigranti irlandesi nella terza classe fiduciosi di cominciare una nuova vita in America, il Titanic salpò da Queenstown, Co. Cork, l’11 aprile 1912, quasi senza aver fatto complete “prove in mare” per la fretta che avevano gli armatori di battere la concorrenza. Il comandante Edward John Smith, infatti, aveva dato ordine di spingere le macchine al massimo nel tentativo di attraversare l’Atlantico in tempi record.
Per un paio di giorni la navigazione fu regolare e, per l’epoca, molto veloce.
Domenica 14 aprile 1912, la stazione radio di bordo ricevette numerose segnalazioni che riferivano la presenza di iceberg vaganti lungo la rotta, assai frequentata da navi passeggeri e da trasporto.
In serata la navigazione procedeva regolare, il mare era tranquillo, mancava la luna ma la visibilità era ottima, il cielo era limpido e stellato. Alle ore 23,40 le vedette, che per la fretta di partire non erano dotate di adeguati cannocchiali, avvistarono a occhio nudo un enorme iceberg dritto di prora e lanciarono l’allarme. William Murdoch, ufficiale di guardia, ordinò l’indietro tutta e una virata ma la nave era troppo veloce – circa 22 nodi – e l’ostacolo era a poco meno di cinquecento metri di distanza. Il proposito, allora, fu quello di passare a sinistra dell’iceberg, sfiorandolo con il fianco destro; invece, si ottenne il tragico risultato il Titanic cozzò contro la massa di ghiaccio che ne squarciò il fianco per una novantina di metri su una lunghezza complessiva di circa 270 metri.
Il Titanic aveva 16 compartimenti stagni e sarebbe stato in grado di navigare con quattro compartimenti allagati ma l’iceberg squarciò la carena interessando sei compartimenti, fatto non previsto dai progettisti.

Alle ore 00,15 del 15 aprile 1912, venne lanciato l’SOS (recente innovazione per l’epoca) ricevuto da molte navi, la più vicina delle quali, il Carphatia, era a quattro ore di navigazione.
A questo punto iniziò la raccapricciante agonia della nave: il Titanic iniziò ad imbarcare acqua nei compartimenti di prua inclinandosi in avanti e sollevando la poppa. La nave si inclinò sempre di più e la tremenda pressione esercitata fece sì che, dopo essersi spente le luci, lo scafo si spezzasse in due tronconi: la parte di prua, più pesante, affondò subito e poco dopo toccò alla parte di poppa, che prima tornò al suo posto, poi si innalzò verticalmente per inabissarsi, infine, nelle buie acque. Le persone che affondarono con la nave e quelle che furono trascinate dal suo risucchio si suppone siano morte quasi subito, mentre le altre che, indossando i giubbotti di salvataggio, riuscivano a restare a galla morirono di ipotermia dato che la temperatura dell’acqua si aggirava tra gli 0° e i 2° C.
Il Carpathia arrivò sul luogo del disastro alle 4,00 e trovò una tragica calma piatta, le scialuppe con i 705 superstiti e il mare disseminato di corpi che galleggiavano. Le vittime furono 1518.

*IL VIAGGIO

L’inizio del viaggio fatale risalì al 10 aprile 1912 quando, dal porto di Southampton, il TITANIC, trainato da sei rimorchiatori, iniziò lentamente  a muoversi; il lungo fischio della sirena,  sancì questo momento.
Assomigliava a un  ululato roco e  sinistro, che per molte persone, sembrò un cattivo presagio.
Infatti, piccoli e strani episodi, accaddero prima e durante la partenza del TITANIC:
In quel periodo la Gran Bretagna fu investita da uno sciopero del carbone, iniziato nel gennaio; ad aprile lo sciopero fu quasi al termine, ma per permettere al TITANIC di partire fu necessario far prelevare il carbone necessario per l’accensione dei motori dalle navi circostanti: l’Oceanic ed il Majestic della White Star Line ed il New York, il Philadelphia, il St. Louis ed il St. Paul dell’American Line; per questo motivo alcuni passeggeri delle suddette navi vennero smistati sul TITANIC.
A mezzogiorno in punto la nave fu pronta a partire. Mentre stette per venire ritirata l’ultima passerella, otto fuochisti iscritti come membri dell’equipaggio si precipitarono all’imbarco dopo essersi attardati in un pub. Tre di loro riuscirono ad arrivare a bordo, ma gli altri furono bloccati dal transito di un treno passeggeri e giunti sulla banchina, l’ufficiale di guardia stabilì che non vi fu più tempo per farli salire. Dopo qualche scambio di vedute i marinai si allontanarono, rammaricati per le due settimane di paga perdute.
Il TITANIC cominciò a muoversi nel fiume Test: la massa d’acqua spostata dalla nave fu tale che, il transatlantico New York, ormeggiato di fianco all’Oceanic, dal risucchio, dovuto alle poderose dimensioni del TITANIC, derivò di poppa verso quest’ultimo.
Il Capitano Smith e George Bowyer ordinarono di fermare l’elica centrale e di mettere le eliche esterne indietro tutta. Il rimorchiatore Vulcan si mise tra le due navi, lanciò delle cime sul New York: le due navi si fermarono a soli tre metri di distanza. Appena il TITANIC arretrò un poco, il rimorchiatore trascinò il New York dietro all’angolo della banchina nel fiume Tichen.
Questa mancata collisione, fu da molti vista come un brutto segno ed alcuni tra i più superstiziosi passeggeri videro in questo episodio una sorta di presagio e l’episodio tardò di poco la partenza del TITANIC. 

Tutti questi piccoli episodi, furono una casualità o furono il triste presagio per quello che sarebbe successo qualche giorno dopo?

Durante il suo viaggio inaugurale (da Southampton a New York, via Cherbourg e Queenstown), alle ventitrè e quaranta della sera del 14 aprile del 1912, di cento anni fa, il Titanic, orgoglio della compagnia White Star, urtò contro un enorme iceberg a largo delle coste del Nord America. Meno di tre ore dopo, circa alle due e mezzo, spezzata in due tronconi, la nave dei sogni s’ inclinò a prua e iniziò ad affondare. A bordo c’ erano 2223 passeggeri più l’equipaggio. Era un gioiello della tecnica, il Titanic: illuminazione elettrica, motori a turbina, alimenti sufficienti per risollevare una nazione di media grandezza da qualunque carestia. Non c’ erano binocoli e le scialuppe bastavano per poco più della metà del carico. Secondo i test, il Titanic avrebbe dovuto restare in superficie, anche se fossero stati allagati due dei suoi tre scomparti. Avrebbe dovuto essere inaffondabile e invece morì senza opporre alcuna resistenza.
Nel naufragio persero la vita 1518 dei 2223 passeggeri imbarcati compresi gli 800 uomini dell’equipaggio. L’evento suscitò un’enorme impressione nell’opinione pubblica, e portò alla convocazione della prima conferenza sulla sicurezza della vita umana in mare.
Una delle immagini che m’impressionano maggiormente nella tragedia del TITANIC fu la morte di più di 1500 persone nelle gelide acque dell’Atlantico

Ma facciamo una breve cronistoria di quel maledetto giorno.

14 aprile: Domenica – Durante il giorno ricevette 7 avvertimenti di ghiaccio. I rapporti arrivarono dalle imbarcazioni  Caronia, Rappahannock, Baltic, Amerika, Noordam,  Californian e Mesaba. La rotta del TITANIC seguì l’Outward Southern Track, un “corridoio” concordato e seguito dalle navi di linea in quella stagione: ed infatti, nelle vicinanze incrociarono almeno altre 30 navi. L’armatore Joseph Bruce Ismay ed il Capitano Edward John Smith non sembrarono preoccuparsene.
Alle 21:20 il Capitano Smith si ritirò per la notte. All’ufficiale di guardia, Charles Lightoller disse: “Se vedete qualcosa di strano avvisatemi”. Fu una notte senza luna, freddissima, vi fu solo una leggera nebbia ed il mare fu piatto: nessuna increspatura che poté rivelare a distanza la presenza di masse di ghiaccio.
Alle 23:40 le vedette Lee e Fleet lanciarono l’allarme: “Iceberg dritto di prua!”. Il primo ufficiale William Murdoch ordinò al timoniere Robert Hitchens: “Indietro tutta, barra a dritta”. La nave iniziò lentamente a virare, ma l’ostacolo fu appena a 450 metri. Per dieci secondi la lama di ghiaccio “segò” la fiancata: un taglio lungo 90 metri. Molti passeggeri dormirono e non si accorsero di nulla. Altri furono svegliati. Il danno fu irrimediabile, lo si vide immediatamente: dieci minuti dopo la collisione nei compartimenti a tenuta stagna, l’acqua ebbe raggiunto già i 4 metri. Thomas Andrews, della Harland & Wolff, capì che il TITANIC fu ferito mortalmente.

15 aprile 1912 – ore 00:15 – Il TITANIC lanciò la richiesta d’aiuto: il C. Q. D. (venite, presto, pericolo) e poi l’S.O.S., da poco introdotto. Il segnale fu ricevuto da diverse navi (ma non dal vicinissimo Californian, il cui unico telegrafista se n’era andato a dormire) e da Terranova. I telegrafisti trasmisero anche il punto nave, che però fu non esatto.
Ore 00: 25 – Il Capitano Smith ordinò di mettere in salvo anzitutto donne e bambini. Cominciò una notte di terrore, d’eroismi e vigliaccherie.
Ore 02:17 – L’ultimo segnale radio; il Capitano Smith disse al suo equipaggio: “Ogni uomo pensi a se stesso”.
Ore 02: 20 – All’estremo, sulla poppa, fra centinaia e centinaia di persone terrorizzate, l’orchestra intonò “Nearer, My God, To thee”, Più vicino a te o mio Dio. Si udirono gli stridii della lamiera, un fumaiolo cadde sfracellando alcune persone, la nave si spezzò in due tronconi. Le luci della nave si spensero. La sezione di prua affondò e subito dopo toccò a quella di poppa. Centinaia di persone in acqua morirono lentamente d’ipotermia. Solo 705 persone, imbarcate sulle scialuppe, sopravvissero, mentre 1518 persone, tra cui molti bambini, morirono.

*LE CAUSE DI MORTE

Delle 1518 vittime conosciute nell’affondamento, soltanto 330 corpi furono recuperati: tranne  pochi casi, dove un’altra causa della morte fu conosciuta, nel 1912 le autorità stabilirono come causa di morte “annegamento”. Interessante sarebbe conoscerne realmente i diversi scenari, causa di morte di queste persone: le mie ovviamente sono delle pure congetture.

ANNEGAMENTO – L’annegamento, fu comunemente attributo come causa di morte relativa all’affondamento del TITANIC: in realtà uccise molta gente, la maggior parte delle quali morì all’interno della nave. Cito come esempio quello dei 5 impiegati postali piuttosto di quello degli addetti alle sale macchine, morti sicuramente ben prima dell’affondamento.

IPOTERMIA – La causa di morte della maggior parte delle persone fu dovuta ad ipotermia. Quando la temperatura del corpo umano va sotto i 35 gradi, il fenomeno dell’ipotermia è in agguato: gli organi interni cominciano ad interrompere le loro funzioni vitali e la morte avviene velocemente. Nelle fredde acque dell’Atlantico, con una temperatura di -2°, gli individui più sani probabilmente resistettero massimo una quindicina di minuti, mentre i più giovani e gli anziani resistettero molto meno. I superstiti del pieghevole B riuscirono a sopravvivere soltanto perché dovettero impegnarsi per riuscire a mantenersi a galla, quindi il loro corpo fu in tensione e con una temperatura corporea a livelli quasi normali.

CAUSE NATURALI – Non sarà mai conosciuto quanta gente a bordo del TITANIC fosse morta per attacchi di cuore; questa causa fu soprattutto diretta a coloro che furono in età avanzata o che soffrirono di scompensi cardiaci.

FERITE – Mentre la nave continuò ad inclinarsi sempre di più, diverse persone caddero dapprima contro parti della nave e poi anche direttamente in acqua. A 200 piedi d’altezza una caduta in acqua avrebbe sicuramente provocato una rottura delle ossa, quando il corpo inerme colpì la superficie dell’Oceano.

COMPRESSIONE – Questa probabilmente fu la causa minore delle morti sul TITANIC. La morte da compressione dipende non solo dalla profondità dell’acqua, ma anche dalla velocità della discesa: più veloce è la discesa, minore è la probabilità che il corpo possa sviluppare una tolleranza per la pressione. Chiunque rimase ancora vivo all’interno della nave, dopo che questa affondò, sarebbe stato ucciso dalla pressione accumulata durante l’immersione. Fu probabile, tuttavia, che la maggior parte delle persone fossero morte prima di questo passaggio, chiunque fosse stato ancora vivo sarebbe stato ucciso dall’implosione, causata dalla pressione.

SUICIDIO – Vi fu un triste episodio attribuito al primo ufficiale William McMaster Murdoch che si suicidò, ma anche altri ufficiali, si veda per esempio il capitano Edward John Smith, l’alto funzionario ossia il capo ufficiali Henry Tingle Wilde ed il sesto ufficiale James Paul Moody si ritenne, per voci popolari, che si fossero suicidati. Non ci sono però testimonianze dirette di tutti questi episodi. Già sulla Carpathia, appena entrata in porto a New York, circolarono voci che un alto funzionario del TITANIC si fosse sparato a bordo, nelle ultime fasi prima del naufragio. Ma, ciò che videro i sopravvissuti effettivamente fu un suicidio? Durante il corso di questa ricerca, ho potuto appurare che, se quest’episodio realmente accadde, il luogo dove avvenne il tragico fatto dovette essere senz’altro, come riferirono diversi testimoni, dal lato di dritta della nave, in prossimità dell’ubicazione dei canotti di salvataggio A e Nel 1912, in numerosi affermarono che fosse il Primo Ufficiale William McMaster Murdoch che si suicidò, sebbene il Secondo Ufficiale Charles Herbert Lightoller sostenne che questi racconti fossero falsi. Leggendo e rileggendo note e testimonianze dunque si può addurre, con tutti i crismi dell’ufficiosità, che il presunto suicida fosse il primo ufficiale William McMaster Murdoch fermo restando che diverse, e controverse, affermazioni mi portano alla conclusione che si tratti semplicemente di un ufficiale non meglio identificato. Dunque se un ufficiale si fosse effettivamente suicidato sul ponte del TITANIC nelle fasi finali del naufragio, o che tale azione poté avvenire, non fu assolutamente certa ed appurata. Almeno, non senza la scoperta d’ulteriori informazioni, le notizie e le testimonianze disponibili non sono in grado di fornire qualsiasi tesi definitiva in questo senso.
Nel suo libro “La verità sul TITANIC” stampato nel 1913, il Colonnello Archibald Gracie, scampato al naufragio, scrisse: “Non ho potuto scoprire mai una testimonianza autentica concernente il suicidio del Primo Ufficiale Murdoch. Al contrario, Murdoch era un ufficiale coraggioso ed efficace e nessun motivo serio di suicidio non può essere avanzato. Compiva pienamente la sua missione nelle circostanze difficili ed aveva diritto solamente alle lodi ed agli onori. Durante gli ultimi quindici minuti prima che la nave affondò, Murdoch dava degli ordini e l’equipaggio che dirigeva provava vanamente a mettere in acqua un canotto Engelhard. La detonazione di un colpo di pistola, sparato durante questi momenti, avrebbe attirato certamente la mia attenzione e, più tardi, quando mi spostai verso la parte posteriore, la distanza non fu abbastanza grande per impedirmi di sentirlo”. Sebbene fosse messo in dubbio, la testimonianza del Colonnello Gracie sembrò più affidabile e, come disse, nessuna prova del suicidio di Murdoch fu accertata. Il capitano Edward John Smith fu sicuramente il maggiore responsabile della tragedia del TITANIC: egli avrebbe dovuto andare in pensione all’arrivo della nave a New York. Il naufragio del TITANIC sarebbe stata una grossa macchia sulla sua reputazione. La notte del 15 aprile fu visto per l’ultima volta sul ponte di comando o addirittura all’interno della timoniera, quando quest’ultima stette sprofondando negli abissi. Il capitano Smith avrebbe avuto la possibilità di dotarsi di un revolver, in quanto fu proprio lui, con la collaborazione di Henry Tingle Wilde, a provvedere alla distribuzione della armi agli altri colleghi: quindi Smith ebbe avuto il “movente” e l’opportunità di compiere questo estremo gesto. E proprio il citato Henry Tingle Wilde, il capo ufficiali, potrebbe essere un altro “indiziato” al suicidio. Il fatto che Wilde avesse perso tragicamente la moglie e due figli qualche anno prima, e che quindi non avesse nulla da perdere, protenderebbe ad avvallare questa ipotesi. Il Capo Ufficiali del TITANIC quella notte fu visto aiutare alla messa in mare dei canotti C e D e che cercò, sino in ultimo, di aiutare quanti più passeggeri a mettersi in salvo, a scapito della propria sopravvivenza. Anche il primo ufficiale William McMaster Murdoch fu in possesso, in quella tragica notte, di un’arma. Poi averla rivolta contro se stesso, come già riferito, è tutto da provare. Murdoch fu l’uomo direttamente responsabile della nave al momento della collisione con l’iceberg e solo questo fatto può aver fatto sentire in colpa un uomo che, però anch’egli, dimostrò nei momenti successivi grande prova di abnegazione.
Viene anche il sospetto che a togliersi la vita fu il sesto ufficiale James Paul Moody: questo secondo quanto emerse da una testimonianza rilasciata durante l’inchiesta americana. Egli collaborò alla messa in mare del canotto A; non sembra però che avesse in dotazione alcuna arma.
Un ultimo presunto suicida tra gli ufficiali del TITANIC, poté essere anche Herbert McElroy, il commissario di bordo. Benché non avesse alcun motivo apparentemente per togliersi la vita. Quella notte egli operò ad ammainare il canotto A e il canotto C.
A quale conclusione si può dunque arrivare? A mio parere, tutti gli ufficiali del TITANIC, quella notte furono degli eroi, abbiano essi salvato o meno la propria vita. Indipendentemente dalle eventuali carenze ed o mancanze che causarono la collisione del TITANIC contro l’iceberg, ci sono prove documentate che questi ufficiali contribuirono, in maniera notevole, alle operazioni di salvataggio gestendo le operazioni di carico delle persone sulle scialuppe. Questi funzionari fecero il proprio dovere fino in fondo, quando di più non si poté fare.

OMICIDIO – Soltanto un ufficiale, Harold Godfrey Lowe, ammise di aver sparato contro delle persone; molti superstiti riferirono, tuttavia, che diverse persone morirono per colpi di arma da fuoco.

Mentre sappiamo che 4-6 corpi furono sepolti in mare dalla Carpathia e 330 furono quelli recuperati dal Mackay Bennett e da altre navi che prestarono opera di recupero dei cadaveri in tempi diversi, che fine hanno fatto gli altri mille ed oltre corpi?
Soltanto tre sono le opzioni. Si pensi all’azione del vento e delle onde marine che trascinarono via e dispersero sulla superficie dell’acqua diversi corpi: l’ultimo cadavere venne recuperato nel mese di giugno del 1912, quasi due mesi dopo l’affondamento del TITANIC! Una stima ci porterebbe a valutare fra le 700 e le 1000 persone che furono “gettate” in acqua negli istanti finali del TITANIC. Molti dei passeggeri, che non indossarono i giubbotti di salvataggio al momento dell’affondamento, sarebbero sprofondati negli abissi dell’oceano con il risucchio della nave. Vi furono, anche quasi certamente, passeggeri di terza classe, di varie nazionalità, che rimasero nelle loro cuccette ad attendere una dolce fine: una morte atroce, probabilmente non seppero neanche che cosa stesse accadendo (solo problemi di lingua?). Chi si trovò vicino al punto di rottura (break-up) del TITANIC, ebbe ben poca probabilità di vivere un po’ più a lungo. I loro corpi vennero “consumati” dai pulitori e da altre forze corrosive come componente del processo di riciclaggio della natura. Sono frutto di mera fantasia, invece, le ipotesi di persone ancora in vita recuperate su iceberg o su relitti galleggianti della nave: in qualunque caso, tali persone sarebbero morte molto prima di un eventuale salvataggio.
Ma come andarono in realtà le cose? Chi lo può dire con certezza, ma se non conosciamo neppure quanto gente fosse a bordo del TITANIC, sappiamo purtroppo la triste verità di 1518 morti e soltanto 705 persone tratte in salvo (ma anche questi numeri sono ovviamente frutto di congetture).

“GLI ANGELI DEL TITANIC”

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Abraham, C.
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Bailey, G. W.
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Chitty, G.
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Delalic, Regyo
Denbou, Mr. Herbert
Denison, ?
Denkoff, Mito
De Marsico, Gianni
Dennis, Samuel
Dennis, William
Derrett, A.
Deslands, P.
Desvernini, L.
Dewan, Frank
Diaper, J.
Dibden, Mr. William
Dibo, Elias
Dickson, W.
Dilley, J.
Dimic, Jovan
Dineage, J.
Dintcheff, Valtcho
Dodd, E. C.
Dodd, George
Dodd, R.
Dolby, J.
Donati, Italo Francesco
Donoghue, F.
Dooley, Patrick
Dore, A.
Dornier, S.
Doughty, W.
Douglas, Mr. Walter Donald
Downton, Mr. William J.
Doyle, Elin
Doyle, F.
Drapkin, Jenie
Drazenovie, Josip
Duffy, William
Dulles, Mr. William Crothers
Dunford, W.
Dyer, Henry Ryland
Dyker, Adolf
Dymond, Frank
Eagle, A. J.
Eastman, C.
Ecimovic, Joso
Edbrooke, F.
Ede, G. B.
Edge, F.
Edwards, C.
Edwardsson, Gustaf
Egg, W. H.
Eitemiller, Mr. G. F.
Eklunz, Hans
Ekstrom, Johan
Elias, Joseph
Elias, Joseph
Elliott, Everett Edward
Elsbury, James
Emmeth, Thomas
Enander, Mr. Ingvar
Ennis, W.
Ervine, George
Evans, George
Evans, Miss Edith Corse
Evans, W.
Everett, Thomas J.
Fahlstrom Mr. Arne J.
Fairall, H.
Fanette, M.
Farquharson, W.
Farrell, James
Farrendon, E.
Farting John
Fat-ma, Mustmani
Faunthorpe, Mr. Harry
Fay, F.
Fellows, A.
Feltham, G.
Fenton, F.
Ferris, W.
Fillbrook, Mr. Charles
Finch, H.
Fioravanti, Giuseppe
Fischer, Mr. Eberhard
Fitzpatrick, H.
Flarty, E.
Fletcher, P. W.
Flynn, Mr. J. I.
Ford, Arthur
Ford, E.
Ford, F.
Ford, H.
Ford, Mr. E. W.
Ford, Mrs. D. M.
Ford, Thomas
Foreman, Mr. B. L.
Fortune, Mr. Charles Alexander
Fortune, Mr. Mark
Foster, A.
Fox, Mr. Stanley H.
Fox, Patrick
Fox, W. T.
Frankin, A.
Franklin, Charles
Franklin, Mr. Thomas Parnham
Fraser, J.
Fraser, J.
Freeman, Ernest E. S.
Frost, Mr. Wood Anthony
Fry Richard
Futrelle, Mr. Jacques
Fynney, Mr. Jos.
Gale, Mr. Harry
Gale, Mr. Shadrach
Gallagher, Martin
Gardner, F.
Garthfirth, John
Gaskell, Mr. Alfred
Gatti, Gaspare Antonio Pietro
Gavey, Mr. Lawrence
Geddes, R.
Gee, Mr. Arthur H.
Geer, A.
Gerios, Assaf
Gerios, Youssef
Gerios, Youssef
Gheorgheff, Stanio
Giglio, Mr. Victor
Gilardino, Vincenzo Pio
Gilbert, Mr. William
Giles, J.
Giles, Mr. Edgar
Giles, Mr. Fred
Giles, Mr. Ralph
Gilinski, Leslie
Gill, Mr. John William
Gill, P.
Gill, S.
Gillespie, Mr. William
Givard, Mr. Hans K.
Godley, G.
Golder, M. W.
Goldschmidt, Mr. George B.
Goldsmith, Frank John
Gollop, C.
Goncalves, Manoel E.
Goodwin, Augusta
Goodwin, Charles E.
Goodwin, Frederick
Goodwin, Harold
Goodwin, Jessie
Goodwin, Lillian A.
Goodwin, Sidney
Goodwin, William F.
Gordon, J.
Goree, F.
Goshawk, A.
Gosling, B.
Gosling, S.
Graham, Mr. Thompson William
Graham, T.
Graves, S.
Green, G.
Green, George
Greenberg, Mr. Samuel
Gregory, D.
Grodidge, E.
Gronnestad, Daniel D.
Gros, Claude G.
Guest, Robert
Guggenheim, Mr Benjamin
Guggenheim, Servitore
Gullio, Casali
Gunn, J.
Gunnery, G.
Gustafson, Alfred Ossia
Gustafson, Anders
Gustafson, Johan Birger
Gustafsson, Gideon Karl
Gwinn, William Logan
Haas, Aloisia
Hagan, John
Hagardon, Kate
Hagarty, Nora
Hagland, Ingvald O.
Hagland, Konrad R.
Hakkarainen, Pekko Pietari
Hale, Mr. Reginald
Hall, F.
Hall, J.
Hallett, G.
Halloway, S.
Hamblyn, Ernest William
Hamilton, E.
Hampe, Leon
Hands, B.
Hanna, Mansour
Hannam, G.
Hansen, Henry Damgavd
Harbeck, Mr. William H.
Harding, A.
Harknett, Alice
Harmer, Mr. Abraham
Harper, Rev. John
Harrigthon, Mr. Charles
Harris, C. H.
Harris, C. W.
Harris, E.
Harris, F.
Harris, Mr. Henry Burkhardt
Harris, Mr. Walter
Harrison, Mr. William Henry
Harrison, N.
Hart, Henry
Hart, Mr. Benjamin
Hart, Thomas
Hartley, Wallace Henry
Harvey, Herbert G.
Hasgood, R.
Haslin, J.
Hatch, H.
Hawkesworth, John
Hawkesworth, W.
Hays, Mr. Charles Melville
Hayter, A.
Head, A.
Head, Mr. Christopher
Heininen, Vendla Maria
Helnen, J.
Hemming, Norah
Hendekevoic, Ignaz
Hendy, E.
Henery, Delia
Henriksson, Jenny
Henry, W.
Hensford, J.
Herman, Mr. Samuel
Hersh L. Siebald
Hesketh, James H.
Hewett, T.
Hickman, Mr. Leonard
Hickman, Mr. Lewis
Hickman, Mr. Stanley
Hill, H.
Hill, J.
Hill, J.
Hilliard, Mr. Herbert Henry
Hiltunen, Miss Martha
Hinckley, G.
Hines, G.
Hinton, W.
Hipkins, Mr. W. E.
Hiscock, S.
Hoare, Leo
Hocking, Mr. George
Hocking, Mr. Samuel J.
Hodge, C.
Hodges, Mr. Henry P.
Hodges, W.
Hodgkinson, L.
Hoffman, Mr. Louis
Hogg, C.
Hogue, E.
Hold, Mr. Stephen
Holland, T.
Holm, John F. A.
Holman, H.
Holt, Mr. W. F.
Holten, Johan
Holverson, Mr. Alexander Oscar
Hood, Mr. Ambrose
Hopkins, F.
Horgan, John
Hosgood, R.
Hosking. G. F.
House, W.
Howard, Mr. Benjamin
Howard, Mrs. Ellen T.
Howell, A.
Hoyt, Mr. William Fisher
Hughes, H.
Humblen, Adolf Mathias Nicolai Olsen
Humby, F.
Hume, Jock Law
Humphreys, H.
Hunt, Mr. George
Hunt, T.
Hurst, C. J.
Hutchinson, J.
Hutchinson, John H.
Ide, H.
Ilieff, Ylio
Ilmakangas, Ida
Ilmakangas, Pista
Ingram, C.
Ingrouville, H.
Ings, W.
Instance, T.
Isham, Mrs. Ann Elisabeth
Ivanoff, Konio
Jackson, H.
Jacobsohn Mr. Sidney S.
Jacobson, John
Jago, J.
Jaillet, H.
Jakob, Mr. Birnbaum
James, Thos
Janaway, W.
Janin, C.
Jardin, Jose Netto
Jarvis, Mr. John D.
Jarvis, W.
Jean Nassr, Saade
Jeffery, W.
Jefferys, Mr. Clifford
Jefferys, Mr. Ernest
Jenkin, Mr. Stephen
Jenner, H.
Jensen, Hans Peter
Jensen, Nilho R.
Jensen, Svenst L.
Jenson, C. V.
Joas, N.
Johann, Markim
Johannessen, Elias
Johansen, Nils
Johansson, Erik
Johansson, Gustaf
Johnson, A.
Johnson, Alice
Johnson, H.
Johnson, Jakob A.
Johnson, Mr. A.
Johnson, Mr. W.
Johnson, W.
Johnsson, Malkolm
Johnston, Catherine Nellie
Johnston, Mrs.
Johnston, Mrs. C. H.
Johnston, William Andrew
Jones, A.
Jones, A.
Jones, H.
Jones, Mr. C. C
Jones, Reginald V.
Jonkoff, Lazor
Jonsson, Nielo H.
Jouanmault, G.
Jukes, J.
Julian, Mr. Henry Forbes
Jupe, Herbert
Jusila, Katrina
Jusila, Mari
Jutel, Henrik Hansen
Kalil, Betros
Kallio, Nikolai
Kalvig Johannes H.
Kantor, Mr. Sehua
Karajic, Milan
Karlson, Nils August
Karnes, Mrs. J. F.
Kassem, Fared
Keane, Mr. Daniel
Kearl, C.
Kearl, G.
Keefe, Arthur
Keegan, Jas
Keeping, Mr. Edwin
Kekic, Tido
Kelland, T.
Kelly, James
Kelly, James
Kelly, Jas
Kelly, William
Kemp, Thos
Kenchenten, Fredrick
Kennell, C.
Kent, Mr. Edward Austin
Kenyon, Mr. Frederick R.
Kenzler, A.
Kerane, Andy
Kerley, W. T.
Kerr, T.
Ketchley, H.
Khalil, Zahie
Kieran, M.
Kiernan, James W.
Kiernan, John
Kiernan, Phillip
Kilgannon, Thomas
King, A.
King, Ernest Waldron
King, G.
King, T. W.
Kingscote, W. F.
Kink, Miss Maria
Kink, Vincenz
Kinsella, L.
Kirkham, J.
Kirkland, Rev. Charles L.
Kitching, A.
Klaber, Mr. Herman
Klasen, Gertrud Emilia
Klasen, Hilda
Klasen, Klas A.Mona, Mae A.
Klein, H.
Knight, L
Knight, Mr. Robert
Kraeff, Thodor
Krins, George
Kvillner, Mr. John Henrik
Lacey, Bert W.
Lahtinen, Rev. William
Lahtinen, Mrs. Anna
Lahy, T.
Laitinen, Sofia
Lake, W.
Laleff, Kristo
Lam, Len
Lambert-Williams, Mr. Fletcher Fellows
Lane, A. E.
Lane, Patrick
Laroche, Mr. Joseph
Larson, Viktor
Larsson, Bengt Edvin
Larsson, Edvard
Latimer, Andrew J.
Lawrence, A.
Leader, A.
Lee, H.
Lefevre, Frances
Lefevre, Henry
Lefevre, Ida
Lefevre, Jeanne
Lefevre, Mathilde
Lefever, G.
Leinonen, Antti
Lemberopoulos, Peter
Lennon, Mr. Denis
Leonard, L.
Leonard, M.
Leonard, Mr. L
Lester, James
Levett, G.
Levy, Mr. R. J.
Lewy, Mr. E. G.
Leyson, Mr. Robert W. N.
Light, C.
Light, C.
Light, W.
Lindablom, August
Lindahl, Agda
Lindell, Edvard Bengstsson
Lindell, Gerda Elin Persson
Linehan, Michel
Ling, Lee
Lingan, Mr. John
Lingrey Mr Edward
Lithman, Simon
Lloyd, H.
Lloyd, W.
Lobb, Cordelia
Lobb, William A.
Lock, A.
Lockyer, Edward
Long, F.
Long, Mr. Milton Clyde
Long, W.
Longley, Miss Gretchen Fiske
Longmiur, J.
Loring, Mr. Joseph H.
Louch, Mr. Charles Alexander
Lovell, J.
Lovell, John
Lundahl, John
Lundstripm, Jan
Lurette, Miss Elise Eugenie
Lydiatt, C.
Lyons, William Henry
Mabey, J.
Mack, Mrs. Mary
MacKay, George W.
Mackie, W. D.
Maenpaa, Matti
Magee, W.
Maguire, Mr. J. E.
Mahon, Delia
Maisner, Simon
Major, E.
Makinen, Kalle
Malachard, Mr. Noel
Malinoff, Nicola
Mampe, Leon
Mangan, Mary
Mangiavacchi, Mr. Serafino Emilio
Mantle, R.
Mantvila, Mr. Joseph
Marinko, Dmitri
Markoff, Marin
Marks, J.
Marrett, G.
Marriott, J. W.
Marsh, F.
Marvin, Mr. Daniel Warner
Maskell, L.
Matherson, D.
Matthews, Mr. W. J.
May, A. W.
Maybery, Mr. Frank H.
Mayo, W.
Maytum, Alfred
McAndrew, Thos
McAndrews, W.
McCaffry. Mr. Thomas Francis
McCarthy, Mr. Timothy J.
McCastlen, W.
McCawley, T. W.
McCrae, Mr. Arthur G.
McCrie, Mr. James
McElroy, Herbert Walter
McElroy, Michel
McGarvey, E.
McGaw, E.
McGowan, Katherine
McGrady, James
McGregor, J.
McKane, Mr. Peter D.
McMahon, Martin
McMullen, J.
McMurray, W.
McNamee, Eileen
McNamee, Neal
McQuillan, William
McRae, William
McReynolds, W.
Meanwell, Marian O.
Mechan, John
Meek, Annie L.
Melkebuk, Philemon
Mellor, A.
Meo, Alfonso
Meyer, Mr. August
Meyer, Mr. Edgar Joseph
Middleton, Alfred Pirrie
Middleton, M. V.
Miles, Frank
Milford, George
Millar, R.
Millar, T.
Millet, Mr. Francis Davis
Milling, Mr. Jacob C.
Minahan, Dr. William Edward
Minkoff, Lazar
Mintram, W.
Mirko, Dika
Mishellany, A.
Misseff, Ivan
Mitchell, B.
Mitchell, Mr. Henry
Mitkoff, Mito
Moch, Mr. Pkdtp E.
Moen, Sigurd Hansen
Molson, Mr. H. Markland
Monbarek, Hanna
Monoros, J.
Monteverdi, J.
Moody, James Pell
Moore, A.
Moore, Leonard C.
Moore, Mr. Clarence
Moore, R.
Moores, R.
Moran, James
Morawick, Mr. Ernest
Morgan, A.
Morgan, Daniel J.
Morgan, T.
Morgan, W.
Morley, William
Morrell, R.
Morris, A.
Morris, W.
Morrow, Thomas
Moss, William
Moussa, Mantoura
Moutal, Rahamin
Mudd, Mr. Thomas C.
Mullen, T.
Muller, L.
Mullin, Miss Mary
Murdlin, Joseph
Murdoch, William McMaster
Myhrman, Oliver
Myles, Mr. Thomas F.
Naidenoff, Penko
Nancarrow, W. H.
Nankoff, Minko
Nannini, Francesco Luigi Arcangelo
Nasr, Mustafa
Nasser, Mr. Nicolas
Nasser, Mrs. Adele
Natsch, Mr. Charles
Navratil, Mr. Louis
Nedeco, Petroff
Nemagh, Robert
Nenkoff, Christo
Nesson, Mr. Israel
Nettleton, G.
Newell, Mr. Arthur Webster
Newman, C.
Nicholls, Mr. Joseph C.
Nicholls, T.
Nichols, A.
Nichols, Alfred
Nicholson, Mr. A. S.
Nieminen, Manta
Niklasen, Sander
Nirva, Isak
Noon, John
Norman, Mr. Robert D.
Norris, J.
Noss, B.
Nosworthy, Richard C.
Novel, Mansouer
O’Brien, Denis
O’Brien, Thomas
O’Connell, Pat D.
O’Connor, Maurice
O’Connor, Pat
O’Donohue, Bert
O’Neill, Bridget
O’Sullivan, Bridget
O’Connor, T.
Odahl, Martin
Olive, C.
Olive, E. R.
O’Loughlin, William F. H.
Olsen, Arthur
Olsen, Henry
Olsen, Ole M.
Olson, Elon
Olsson, Elida
Olsson, John
Oreskovic, Jeko
Oreskovic, Luka
Oreskovic, Maria
Orman, Velin
Orpet, W.
Orr, J.
Orsen, Sirayanian
Ortin, Zakarian
Osborne, W.
Ostby, Mr. Engelhart Cornelius
Othen, C.
Otter, Mr. Richard
Ovies y Rodriguez, Mr. Servando José Florentino
Owens, L.
Pacey, R.
Pacherat, J.
Pacruic, Mate
Pacruic, Tome
Paice, R.
Painter, Charles
Painter, F.
Painton, J. A.
Palles, T.
Pand, G.
Panula, Eino
Panula, Ernesti
Panula, Juho
Panula, Maria
Panula, Sanni
Panula, Urhu
Panula, William
Parkes, Mr. Francis
Parks, Sam
Parr, Mr. Marsh Henry William
Parsons, E.
Parsons, F. A.
Parsons, R.
Partner, Mr. Austin
Pasic, Jakob
Paulsson, Alma
Paulsson, Gosta
Paulsson, Paul
Paulsson, Stina
Paulsson, Torborg Danira
Pavlovic, Stefo
Payne, Mr. V.
Peacock, Alfred
Peacock, Treasteall
Pearce, A.
Pearce, Ernest
Pears, Mr. Thomas Clinton
Pedrini, Alessandro
Peduzzi, Giuseppe
Pekonemi, E.
Pelsmaker, Alfons de
Peltomaki, Nikolai
Peñasco, Mr. Victor de Soto
Pengelly, Mr. Frederick
Pennell, F.
Penny, W.
Penrose, J.
Pentcho, Petroff
Perkin, John Henry
Perkins, L.
Pernot, Mr. René
Perotti, Alfonso
Perrin, W.
Perriton, H.
Perry, H.
Peruschitz, Rev. Jos. M.
Petagna, R.
Peter, Catherine Joseph
Peters, Katie
Peterson, Ellen
Peterson, Johan
Peterson, Marius
Peracchio, Alberto
Peracchio, Sebastiano
Petranec, Matilda
Petterson, Olaf
Petty, Edwin Henry
Phillips, G.
Phillips, J.
Phillips, John Jack
Phillips, Mr. Robert
Piatti, L.
Piazza, P.
Pitfield, W.
Platt, W.
Plotcharsky, Vasil
Poggi, Emilio
Ponesell, Mr. Martin
Pook, R.
Porter, Mr. Walter Chamberlain
Potchett, George
Preston, Thomas
Price, E.
Proctor, Chester
Proudfoot, R.
Pugh, Alfred
Pugh, P.
Pulbaun, Mr. Frank
Pusey, Robert
Radeff, Alexander
Rafoul, Baccos
Raibid, Razi
Randall, F.
Ranson, Jas
Rath, Sarah
Ratti, Enrico Rinaldo
Read, J.
Reed, C.
Reed, James George
Reed, R.
Reeves, F.
Reeves, Mr. David
Renouf, Mr. Peter H.
Reuchlin, Mr. Jonkheer, J. G.
Revall, W.
Reynolds, Harold
Ricaldone, Rinaldo Renato
Rice, Albert
Rice, Arthur
Rice, Eric
Rice, Eugene
Rice, George
Rice, Margaret
Richard, Mr. Emile
Richards, H.
Rickman, G.
Ricks, Cyril S.
Ridout, W.
Rigozzi, Abele
Rintamaki, Matti
Risien, Samuel
Robbins, Mr. Victor
Roberts, F.
Roberts, G.
Roberts, H.
Robertson, G.
Robins, Alexander
Robins, Charity
Robinson, J.
Roebling, Mr. Washington Augustus
Rogers, E. J.
Rogers, M.
Rogers, Mr. Harry
Rogers, William John
Rood, Mr. Hugh R.
Rosblom, Helene
Rosblom, Salfi
Rosblom, Viktor
Ross, Mr. J. Hugo
Rothschild, Mr. Martin
Rotta, Angelo Mario
Rous, A.
Rouse, Richard H.
Rousseau, P.
Rowe, Mr. Alfred
Rudd, Henry
Rummer, G.
Rummstvedt, Kristian
Rush, Alfred George J.
Russell, R.
Ryan, T.
Ryerson, Mr. Arthur Larned
Saad, Amin
Saad, Khalil
Saccaggi, Giovanni Giuseppe Emilio
Sadlier, Matt
Sadowitz, Harry
Sage, Ada
Sage, Annie
Sage, Constance
Sage, Dorothy
Sage, Douglas
Sage, Frederick
Sage, George
Sage, John
Sage, Stella
Sage, Thomas
Sage, William
Salander, Carl
Salussolia, Giovanni
Samaan, Elias
Samaan, Hanna
Samaan, Youssef
Samuels, W.
Sandman, Johan
Sangster, C.
Sarkis, Lahowd
Sarkis, Mardirosian
Sather, Sinon
Saundercock, W. H.
Saunders, D. E.
Saunders, T.
Saunders, W.
Saunders, W.
Sawyer, Frederick
Sawyer, R. J.
Scanlan, James
Scavino, Candido
Scott
Scott, Archibald
Scovell, R.
Scrota, Maurice
Sdycoff, Todor
Sedgwick, Mr. C. F. W.
Sedunary, Sidney
Self, E.
Seman, Betros
Sesia, Giacomo
Sevier, W.
Shabini, Georges
Sharp, Mr. Percival
Shaughnesay, Pat
Shaw, H.
Shea, J.
Shea, Thos
Shedid, Daher
Shellard, Frederick
Shepherd, Jonathan
Shilaber, C.
Shine, Ellen
Shorney, Charles
Siebert, Sidney C.
Sihvola, Antti
Silvey, Mr. William Baird
Simmons, F. G.
Simmons, John
Simmons, W.
Simpson, J. Edward
Sivic, Husen
Sjostedt, Mr. Ernest A.
Skeats, W.
Skinner, E.
Skoog, Anna
Skoog, Carl
Skoog, Harald
Skoog, Mabel
Skoog, Margret
Skoog, William
Slabenoff, Petco
Sleiman, Attalla
Slemen, Mr. Richard J.
Slight, H. J.
Slight, W.
Slocovski, Selman
Small, William
Smart, Mr. John M.
Smiljanic, Mile
Smith, C.
Smith, C.
Smith, E.
Smith, Edward John
Smith, F.
Smith, J.
Smith, James M.
Smith, John Richard Jago
Smith, Mr. Augustus
Smith, Mr. James Clinch
Smith, Mr. Lucien Philip
Smith, Mr. Richard William
Smith, R. G.
Smither, H.
Snellgrove, G.
Snooks, W.
Sobey, Mr. Hayden
Soholt, Peter Andreas Lauritz Andersen
Soloman, Mr. A. L.
Solvang, Lena Jacobsen
Somerton, Francis W.
Sop, Jules
Spector, Woolf
Spencer, Mr. William August
Spinner, Henry
Stafford, M.
Stagg, J. H.
Stanbrook, Augustus
Staneff, Ivan
Stankovic, Jovan
Stanley, E. R.
Stanton, Mr. S. Ward
Stead, Mr. William Thomas
Steffanon, W. B.
Steffanson, Hokan Bjornstrom
Stewart, Mr. A. Albert
Stocker, H.
Stokes, Mr. Phillip J.
Stone, E.
Stone, E.
Storey, T.
Stoyehoff, Ilia
Stoytcho, Mihoff
Strandberg, Ida
Straus, Mr. Isidor
Straus, Mrs. Isidor
Strilic, Ivan
Strom, Matilda
Strom, Selma
Stroud, E. A.
Stroud, H.
Stubbings, H.
Stubbs, H.
Sullivan, S.
Sutehall, Henry
Sutton, Mr. Frederick
Svensen, Olaf
Svensson, Coverin
Swan, W.
Swane, Mr. George
Sweet, Mr. George
Symonds, J.
Syntakoff, Stanko
Talbot, George Fredrick Charles
Tamlyn, Fredrick
Tannous, Alexander
Tannous, Daler
Tannous, Thomas
Taussig, Mr. Emil
Taylor, C.
Taylor, C.
Taylor, J.
Taylor, L.
Taylor, Percy, C.
Taylor, T.
Taylor, W.
Terrell, Bertram
Testoni, Ercole
Thayer, Mr. John Borland
Thayler, M.
Theobald, Thomas
Thomas, Charles P.
Thomas, J.
Thomas, John
Thomas, Tamin
Thompson, H.
Thorley, W.
Thorne, Mr. George
Thorneycrolt, Percival
Tietz, C.
Tikkanen, Juho
Tizard, A.
Tobin, Roger
Todoroff, Lalio
Tomlin, Ernest P.
Tonfik, Nahli
Tonglin, Gunner
Topp, T.
Torber, Ernest
Torfa, Assad
Toung, F.
Tozer, J.
Tronpiansky, Mr. Moses A.
Tucker, B.
Tupin, M. Dorothy
Turcin, Stefan
Turley, R.
Turner, G. F.
Turner, L.
Turnquist, W.
Turpin, Mr. William J.
Turvey, C.
Urbini, Roberto
Uruchurtu, Mr. M. R.
Useher,Baulner
Uzelas, Jovo
Vagil, Adele Jane
Valvassori, Ettore Luigi
Van de Velde, Joseph
Van de Walle, Nestor
Van der Hoef, Mr. Wyckoff
Van der Planke, Augusta Vander
Van der Planke, Emilie Marie
Van der Planke, Jules
Van der Planke, Leon Vander
Van der Steen, Leo
Van Impe, Catharine
Van Impe, Jacob
Van Impe, Rosalie
Vassilios, Catavelas
Veal, A.
Veal, T.
Veale, Mr. James
Vear, H.
Vear, W.
Vereruysse, Victor
Vestrom, Huld A. A.
Vicat, J.
Vilvarlarge, P.
Vine, H.
Vioni, Roberto
Voegelin, H.
Vook, Janko
Waelens, Achille
Wake, S.
Walker, Mr. William Anderson
Wallis, Mrs.
Walpole, John
Walsh, Miss
Ward, Arthur
Ward, E.
Ward, J.
Ward, P.
Wardner, F.
Ware, Frederick
Ware, Mr. John James
Ware, Mr. William J.
Wareham, R.
Warren, Mr. Charles W.
Warren, Mr. Frank Manley
Warwick, F.
Wateridge, E.
Watson, W.
Watson, W.
Watt, Miss Bertha
Wazli, Yousif
Weatherstone, T.
Webb, Brooke
Webb, S.
Webber, F.
Webber, James
Weisz, Mr. Leopold
Welch, W. H.
Wende, Olof Edvin
Wenzel, Zinhart
West, Mr. E. Arthur
Wheadon, Mr. Edward
Wheeler, Mr. Edwin
White, A.
White, Alfred
White, Alfred
White, F.
White, J.
White, L.
White, Mr. Percival Wayland
White, Mr. Richard Frasar
White, Servitore
Whitford, A.
Wick, Mr. George Dennick
Widegrin, Charles
Widener, Mr. George Dunton
Widener, Mr. Harry
Wiklund, Jacob A.
Wiklund, Karl F.
Wilde, Henry Tingle
Willey, Edward
Williams, A.
Williams, E.
Williams, Harry
Williams, Leslie
Williams, Mr. Duane
Williamson, James Bertram
Willis, W.
Wilson, Bertie
Wilton, William
Wiltshire, W.
Windelov, Einar
Wirz, Albert
Wiseman, Philip
Witcher, A.
Witt, F.
Witt, H.
Wittenrongel, Camille
Wittman, H.
Wood, J. T.
Woodford, H.
Woods, H.
Woodward, J. W.
Woody, Oscar S.
Wormald, T.
Wrapson, H.
Wright, Fredrick
Wright, Mr. George
Wyeth, J.
Yazbeck, Antoni
Yoshack, J.
Young, Francis
Youssef, Brahim
Youssef, Hanne
Zabour, Hileni
Zabour. Tamini
Zakarian, Maprieder
Zanetti, Mario
Zarracchi, LuigiEttore Luigi
Zievens, Renee
Zimmermann, Leo

***********************

RINGRAZIO  NINNI RAIMONDI per l’approfondimento:

http://ninniraimondi.blog.espresso.repubblica.it/caff_espresso/2009/11/sos-titanic.html

Mi sono immersa nella storia e nella grande tragedia del TITANIC, aiutata dai seguenti siti (link cliccabili):

**********************

L’ultima canzone suonata sul TITANIC

***********************

FINE PRIMA PARTE

**********************

 

"UN TE' A PALAZZO D'INVERNO"

" Съ нами Богъ! - Con Noi Dio! "

Ultima spiaggia dei sogni

Amico mio se vuoi arrivare alla meta che ti sei prefissato non devi correre, ti basterà fare un passo dopo l’altro con calma meditata.

Stefano Santachiara

Giornalista d'inchiesta

Vietato calpestare i sogni ©ELisa

Se i tuoi sogni dovessero volare più in alto di te,lasciati trasportare.Almeno nella fantasia, non poniamoci mai dei limiti.

sguardiepercorsi

Immagini e riflessioni sulla vita quotidiana

OᘜᘜᙓTTI SᙏᗩᖇᖇITI

ᙖY ᒪᗩᙀᖇᗩ

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LA BARBA DI DIOGENE

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Vita, storie e pensieri di un alieno

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